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Antonio Scurati e Corrado Augias: ecco lo "stupidario" della piazzata pro-Ue

Fabio Rubini
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A Repubblica non sanno più come uscirne. Da cosa? Dal casino che sta diventando la manifestazione di sabato. La colpa non è del quotidiano che l’ha lanciata, e nemmeno di Michele Serra che se l’è inventata quasi per caso. No, la colpa è della variegata galassia della sinistra che, giorno dopo giorno, è riuscita a cavillare, litigare e infine dividersi anche sull’idea di Europa da portare in piazza. E a cavillare, litigare e infine dividersi non c’è solo la politica, ma anche il mondo degli intellettuali organici ai dem. Un capolavoro assoluto che ha dato vita a un vero e proprio Bestiario di dichiarazioni. Sì, perché l’idea di Europa è così labile e sbiadita che ognuno la interpreta come gli pare. Giusto ieri la scienziata Elena Cattaneo, ha spiegato a Repubblica che sarà in piazza per «salvare la scienza ostaggio dei populisti», cioè da Trump. Auspicando un’Europa «politica che, con risorse concrete, dichiari Stato per Stato il proprio impegno sul fronte ucraino e rompa ogni indugio sulla necessità di dotarsi di una difesa comune». Folto il gruppo degli scrittori, ognuno con la propria idea di Europa. Silvia Avallone sarà in piazza perché «la solitudine è un problema morale e politico di questo momento storico. Tutti dovremmo coltivare il valore della solidarietà». Il triestino Claudio Magris, vorrebbe «una Costituzione per divenire un unico Stato». Donatella Di Pietroantonio sarà «in campo per difendere la casa comune. È l’antidoto agli autoritarismi». Maurizio Degiovanni ci andrà perché «la Ue oggi è troppo debole, serve la scossa dei più giovani».

C’è anche chi si spinge oltre come Antonio Scurati, che si chiede: «Per fare la guerra, anche soltanto una guerra difensiva, c’è bisogno di armi adeguate ma resta, ostinato, intrattabile, terribile, anche il bisogno di giovani uomini (e di donne, se volete) capaci, pronti e disposti ad usarle. Vale a dire di uomini risoluti a uccidere e a morire». Ci sono? Scurati pare propendere per il no... Ragiona di guerra e armi anche Corrado Augias: «La pace (come la democrazia) non è data una volta per tutte ma va difesa e alimentata». Poi c’è il mondo della politica, del sindacato, dell’associazionismo. Diviso pure quello. Sì, perché, nata come una manifestazione per «ribadire i valori dell’Europa» richiamando Il Manifesto di Ventotene (quello che teorizzava un’Europa a trazione socialista), si è ben presto trasformata in una tribuna socio-politica all’interno della quale ognuno ha portato la “sua” idea di Europa. L’una profondamente diversa dall’altra. Giusto per farci capire è istruttivo analizzare il derby delle bandiere. Serra nel suo appello inziale aveva chiarito subito: niente vessilli di partito.

 

 

Venite in piazza con la bandiera dell’Europa, quella blu con le 27 stelle gialle. Un’utopia durata solo pochi giorni. Il primo a smarcarsi è stato Carlo Calenda che ha detto: io in piazza ci vengo, ma con le bandiere gialle e blu dell’Ucraina. Poi è arrivata la Cgil e Bonelli che hanno ribattuto: noi veniamo in piazza, ma con la bandiera multocolore della pace. Anche i politici a dichiarazioni non si sono fatti mancare nulla. Giusto per citarne alcuni, Maurizio Landini (Cgil) manifesterà per «costruire un’Europa di pace, lavoro e diritti», mentre Michele Guerra, sindaco di Parma, manifesta «per i nativi europei e il loro futuro». L’inossidabile Clemente Mastella, invece, si batterà «contro le pulsioni nazionaliste».

A sfasciare ulteriormente l’unità della manifestazione ci ha poi pensato la proposta di riarmo dell’Unione fatta da Ursula von der Leyen. Giuseppe Conte, leader dei Cinquestelle, che fino al giorno prima aveva giurato di voler aderire alla manifetsazione di Serra, si è tirato indietro sdegnato, al grido di: «Io non posso sfilare accanto a quelli che vogliono spendere 800 miliardi per comperare armi». Al contrario Gustavo Zagrebelsky spiega che: «I fautori del “riarmo” non sono affatto, come si dice, “guerrafondai”: sono anch’essi, a modo loro, pacifisti, facitori di pace». Insomma, un casino. Se n’è accorto anche Michele Serra, che nei giorni scorsi ha provato a salvare il salvabile e in un nuovo appello su Repubblica ha spiegato che: «Una piazza europea non può che essere dialettica, perfino contraddittoria, perché così è la democrazia e così è l’Europa». Insomma come avrebbe detto il feldmaresciallo von Moltke: «Marciare divisi per colpire uniti».
Sì, perché alla fine la piazza il suo comun denominatore lo troverà: negli insulti a Trump, Musk, Meloni e Salvini.

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