
Napoli, reportage-choc dal Cardarelli: pronto soccorso da incubo, come sono ridotti i pazienti

I dannati delle barelle si assomigliano tutti: hanno lo sguardo triste, la faccia stanca e l’aria rassegnata di chi si sente scivolare il tempo tra le dita. All’ospedale Cardarelli di Napoli, il più grande del Sud Italia, le lettighe son tornate a occupare tutti gli spazi disponibili a ridosso del pronto soccorso. Nelle foto che potete osservare in pagina, c’è la chiara rappresentazione del fallimento di un modello sanitario e sociale. Perché è vero che mancano medici e la struttura, con oltre 170 accessi al giorno, è sul punto di esplodere; ma è altrettanto vero che chiunque accusi un colpo di tosse bussa alla struttura della zona collinare. E così non si va avanti.
Il destino cinico e baro ha riproposto l’emergenza barelle proprio nello stesso giorno in cui il governatore Vincenzo De Luca inaugurava un nuovo padiglione, i cui lavori son durati oltre 15 anni. E così decine e decine di pazienti, senza alcun rispetto per la privacy e per la profilassi clinica, si son ritrovati parcheggiati l’uno accanto all’altro un po’ ovunque. L’abitudine di sistemarli nel salone unico è stata abolita. Ora vecchie giovani vengono distribuiti nei box e nei corridoi. Non ci sono postazioni numerate e quando è l’ora della visita il medico deve fare il “muezzin” e urlare il nome del malato.
Qualcuno, in attesa da ore, ne ha approfittato per consumare i pasti che servono nella mensa. Qualche altro, invece, che conserva ancora un po’ di rispetto di sé, ha deciso di appendere un foglietto alla intelaiatura con le proprie generalità sperando di incrociare un po’ di umanità. «La situazione nei pronto soccorso campani, e in particolare partenopei, è davvero catastrofica», spiega a Libero Manuel Ruggiero, presidente dell’associazione “Nessuno tocchi Ippocrate”. «Abbiamo una sanità “cardarellocentrica” per vocazione: l’utenza si rivolge principalmente al nosocomio collinare autoconvincendosi che ci sia un percorso assistenziale migliore rispetto ad altri. Parallelamente c’è una cattiva gestione centrale che vede chiusi dall’epoca Covid ben 2 pronto soccorso: il Loreto Mare ed il San Giovanno Bosco». Di quest’ultimo, il dg dell’Asl Na1, Ciro Verdoliva, già due anni fa aveva promesso (inutilmente) la riapertura. «E invece è ancora chiuso per carenza di personale», prosegue Ruggiero, «Si sta puntando sul reclutamento di medici pensionati, si parla di professionisti di circa 85 anni che possono sì fornire esperienza ma non posseggono il “fisico” per i turni notturni o peggio per affrontare un pubblico violento».
La mancanza di camici bianchi e infermieri è una delle grandi piaghe della sanità locale. La Regione Campania ha vietato il ricorso ai gettonisti che sono presenti, in città, solo nei pochi presidi accreditati o religiosi. La scommessa dell’autosufficienza, però, non è stata baciata dalla fortuna. I giovani medici non vogliono lavorare nel pubblico. Il maxi-bando da 363 posti a tempo pieno e determinato per medicina d’emergenza e urgenza, varato da Palazzo Santa Lucia, è andato quasi deserto: sono stati ingaggiati appena 51 camici bianchi.
Sanità, in Salento è allarme: ambulanze in fila 8 ore perché non ci sono medici e posti letto
D’altronde, il paragone tra medico freelance e dipendente è improponibile. Un medico specializzato neoassunto in una struttura pubblica guadagna, facendo 26 turni al mese, circa 2.800 euro. Un gettonista riesce a mettere insieme la stessa cifra in poco meno di una settimana. Stesso discorso anche per quel che riguarda gli infermieri. Secondo il sindacato di categoria, mancano in tutta la Campania circa 10mila unità.
«Oltre una ventina di pronto soccorso chiusi negli ultimi anni in Campania, di cui cinque solo nella città di Napoli», spiega Severino Nappi, capogruppo regionale della Lega. «Per non parlare del drappello di emergenza dell’ospedale Sant’Alfonso Maria de’ Liguori di Sant’Agata de’ Goti che osserva orari d’ufficio: è operativo solo dalle 8 alle 18. E questa è soltanto una delle facce, tutte drammatiche, della sanità targata De Luca, l’uomo che ha ridotto il diritto alla salute ad elemosina».
Il Cardarelli è sotto stress anche perché si è dovuto caricare di oltre 240mila prestazioni annue che, invece, fino a qualche tempo fa erano spalmate tra San Giovanni Bosco, Loreto Mare, Ascalesi, San Gennaro e Annunziata.
«Il sovraffollamento dei pronto soccorso in Campania è il frutto di una programmazione sanitaria carente e di un’insufficiente rete territoriale», commenta invece Raffaele Pisacane, consigliere regionale di Fratelli d’Italia. «I cittadini si trovano costretti a ricorrere ai reparti di emergenza anche per patologie che potrebbero essere gestite altrove, ma la mancanza di un’efficace medicina di prossimità rende impossibile un’alternativa valida. Senza soluzioni strutturali, il sistema continuerà a collassare, con conseguenze gravi sia per i pazienti sia per gli operatori sanitari». Ancor più complicata è la situazione sul fronte dei servizi di pronto intervento. Su Napoli sono attive appena 19 ambulanze del 118 e di queste appena 5 hanno il medico a bordo.
Ciò significa che ci sono, per ogni turno, non più di 5 specialisti per un milione di abitanti (oltre a turisti e immigrati, regolari e irregolari). Un disastro. A sentire l’Asl Na1 però ci son stati miglioramenti nei tempi di intervento. Vero, ma c’è un trucco dietro questa improvvisa evoluzione: le statistiche tengono conto non solo delle ambulanze, ma anche delle cosiddette “moto infermieristiche”, che si muovono più velocemente nel traffico e che hanno vita facile a superare ostacoli e vicoli troppo stretti (uno dei grandi motivi di disperazione degli autisti). Solo che questi scooter non offrono alcuna possibilità di diagnosi, terapia e trasporto in pronto soccorso. «Una furbata», taglia corto un dirigente medico che preferisce l’anonimato.
«Dopo dieci anni di De Luca e Pd in Regione Campania la sanità è disastrata in tutti i territori. In particolare il comparto emergenza/urgenza è al collasso», riassume il senatore meloniano, Antonio Iannone. «Le ambulanze in fila con pazienti a bordo che attendono per ore rappresentano un’immagine purtroppo ormai quotidiana». Per quanto ancora continueranno a chiamarla sanità?
Dai blog

Suburra, la Roma corrotta dal potere allo scontro finale
