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Luca Traini, la metamorfosi: da pistolero anti-migranti a poeta contadino (e pentito)

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Claudia Osmetti
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È la Giustizia, con la “G” maiuscola. È il sistema che funziona (per una volta), che non dimentica (e manco perdona) però supporta e pone le basi per una società più equa. È la pena che non è castigo ma riflessione. Rieducazione (ed è un po’, tanto, pure quel principio costituzionale che spesso, quasi sempre, dimentichiamo). È la storia di Luca Traini, che inizia il 3 febbraio del 2018 con una pistolettata per le vie di Macerata, nelle Marche, a bordo di un’Alfa nera 147, durante la quale ne fanno le spese sei migranti di origine africana (colpiti a caso), feriti e mandati all’ospedale, e che finisce oggi, con questo ragazzone di 35 anni che è un detenuto modello, scrive poesie, coltiva un orto, alleva pecore e torna libero, in affidamento in prova ai servizi sociali. Non c’è niente di cui indignarsi nella scarcerazione di Traini: primo perché non si tratta di uno sconto sulla sentenza di condanna che s’è buscato (dodici annidi galera per strage aggravata dall’odio razziale), secondo perché il percorso che ha fatto da quando ha messo un piede dentro al Barcaglione di Ancona è un inno al pentimento e al ravvedimento. E il carcere proprio a questo dovrebbe servire.

RISARCIRE LE VITTIME
Non commenta, lui. È concentrato sulla sua famiglia e sul suo nuovo lavoro. «Appena mi ha chiamato da casa mi ha detto che voleva iniziare a lavorare», spiega il suo legale, Sergio del Medico, «e gli ho risposto: “Fatti prima una bella dormita, vai a vedere il mare”. E allora lui ha replicato: “Sì, però già da domani io voglio impegnarmi”». Traini è stato assunto da una ditta che tratta alluminio, farà (fa) l’operaio. E il desiderio che mostra di rimboccarsi le maniche della tuta non è solo realizzazione personale o voglia di voltare pagina: «Vuole risarcire le vittime del reato che ha commesso. Appena potrà, compatibilmente con l’ammontare della paga che riceverà, ha intenzione di agire in questo senso indennizzando le persone a cui ha causato sofferenza». Perché il suo gesto, sette anni fa, è stato scellerato, è stato orrendo, è stato una macchia a cui si sono aggiunti particolari che allora hanno fatto assai scalpore (il Mein Kampf ritrovato a casa sua, il saluto romano agli agenti che lo accerchiavano davanti al monumento ai caduti di Tolentino, la cittadina di provincia nella quale risiede, la molla scattata a seguito dell’omicidio di Pamela Mastropietro), epperò proprio per questo l’impegno e la dedizione che sta mettendo nel rimediare ai suoi errori (e non nel lasciarsi tutto alle spalle) merita forse non un applauso ma un momento di riflessione collettiva sì.


«Il carcere ha svolto la sua funzione rieducatrice per il mio assistito», continua Del Medico. E la prova è nelle carte. Quelle con cui il tribunale di sorveglianza ha deciso di metterlo in prova ai servizi sociali «da una parte perché ha riconosciuto la sua revisione critica su quanto fatto in passato dato che ha compreso sia l’enormità che l’inutilità del suo gesto, e dall’altra perché nel periodo passato in detenzione ha instaurato un ottimo rapporto col personale carcerario, ha seguito diversi corsi (anche uno di musica), ha svolto tutte le attività che gli sono state proposte tanto che già l’anno scorso lavorava in una fattoria esterna alla struttura». Traini deve ancora scontare cinque anni: «Avendo maturato 45 giorni di permesso per semestre potremmo avere il fine pena tra circa due anni», sottolinea l’avvocato, «e questi due la magistratura ha deciso che potrà passarli a casa». Certo non è un liberi-tutti: l’affidamento in prova è una misura alternativa alla detenzione, non alla pena. Significa che Traini potrà uscire da casa sua solo di giorno, non dalle 22 di sera alle 7 del mattino; non potrà lasciare la provincia di Macerata a meno che non ottenga un consenso specifico dell’Ufficio esecuzioni penali esterne; non potrà intrattenere contatti con persone pregiudicate.

 

 

«NON LO RIFAREI»
«Se tornassi indietro e incontrassi il Luca Traini che ho visto in una trasmissione televisiva qualche settimana fa nella quale si ricostruiva il mio raid cambierei immediatamente strada», diceva, a dicembre del 2022, proprio lui. Traini il giustiziere, Traini il vendicatore, Traini il prepotente che, con in mano una Glock 17, mirava a nove persone solo per il colore della pelle che avevano e ne spediva al pronto soccorso sei (per fortuna non ci sono stati morti nel suo agguato). Si è scritto di tutto sul suo conto. Quel Traini adesso non esiste più. Ora c’è l’ortolano poeta, l’allevatore, l’operaio che vuole rimediare alle sue colpe. Eva benissimo così.

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