
Ferrari e la polvere per "stare sveglio": la coppia della Milano da buttare

È iniziata come un film di Vanzina degli anni Ottanta ed è finita come uno dei polizieschi di Di Leo, tipo Milano calibro 9. Il folle business di Stefania Nobile e Davide Lacerenza di offrire pacchetti all inclusive di droga sesso e rock’n roll, che tanto hanno eccitato le notti di facoltosi clienti, si è rivelata fonte di tanti guai. Guai giudiziari. «Volevano bere e sono stati bevuti», avrebbe commentato Franco Califano che l’ambiente lo conosceva bene (essere bevuti, in romano significa essere arrestati, ndr). Lei, la figlia d’arte della teletruffa, passata dal vendere amuleti miracolosi a gestire contabilità opache con la stessa disinvoltura, lui, il re del provincialismo con la Ferrari, che ha trasformato il kitsch in affari e poi in farsa, hanno vissuto come gli ultimi superstiti di un’epoca che non esiste più, incapaci di capire che il denaro, l’arroganza, la spavalderia non bastano a rendere “intoccabili”.
Nato tra i banchi del mercato di frutta e verdura, Lacerenza ha passato una vita a rincorrere il sogno dell’uomo che si fa da solo: dalla Malmaison alla Gintoneria, dalle casse di mele alle casse di champagne, l’unica costante è stata la vendita di un’immagine più grande della realtà. Nel suo mondo, i soldi non si guadagnano, si ostentano. Dalle Ferrari alle bottiglie da 50 mila euro, dai selfie con le escort al profilo Instagram da influencer di serie B, tutto in Lacerenza sembra costruito per urlare «sono ricco!». Si è costruito il personaggio del “King della notte”, ma chi comanda sul serio non ha bisogno di vantarsi di quanti finti amici ha al tavolo odi quanta cocaina può sniffare per rimanere sveglio.
"Non dormo più. Due ore in galera e si ammazza": il terrore di Stefania Nobile, intercettazioni-choc
Lui invece lo dichiara senza vergogna, per esempio alla Zanzara: «Uno dei miei difetti, diciamo. Vent’anni ne fa consumavamo un bel po’, poi sono stato male e ho smesso per quasi 30 anni. Ora con la vita notturna saranno 5 anni così che qualcosa... qualche botta giusto per star sveglio», tra un sorso di Dom Pérignon e una battuta volgare su Giorgia Meloni. Ma la vera cifra del personaggio è il suo rapporto con le donne. In pubblico, si compiace di averne avute quattromila, di essere “dipendente dal sesso”, di ricevere messaggi da ragazze di 18-19 anni. In privato, le chiama “cavalli” e le tratta come oggetti di consumo, convinto che una Lambo e una cena da 500 euro possano comprare tutto. Se la madre Wanna Marchi vendeva illusioni, Stefania ha sempre venduto se stessa come una che non ha bisogno di vendersi. Erede designata dell’inganno finisce in galera per averlo messo in pratica, infine si ricicla come imprenditrice. Dopo il carcere, tenta la via della ristorazione insieme all’ex compagno Lacerenza. Ma dove finisce la ristorazione, inizia il vizio. Dalla cucina ai tavoli esclusivi, dal caffè alla cocaina rosa, il passo è breve. Nella Gintoneria è lei che tiene i conti, che organizza, che gestisce. Ha ereditato il fiuto per il business, ma non quello per evitare il disastro. E infatti, mentre Lacerenza si bea della sua mediocrità, Stefania capisce che la fine è vicina. Lo dice, lo ripete, lo urla persino nelle intercettazioni: «Tanto da un momento all’altro arrivano». Sa che sta affondando, ma non sa come smettere di remare verso l’iceberg. E alla fine, come ogni truffatrice navigata, fa l’unica cosa che le riesce bene: piange per la fine di qualcosa che non avrebbe mai dovuto iniziare.
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