
Liliana Resinovich, l'accusa del fratello: "Chi l'ha uccisa". Un sospetto pesantissimo

Sergio Resinovich, dopo tre anni, parla e lo fa attraverso le pagine del Corriere della Sera, confermando la sua idea che la sorella non si sia suicidata. Era il 5 gennaio del 2022 quando la 63enne Liliana Resinovich venne trovata morta nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico San Giovanni di Trieste, in Friuli Venezia Giulia.
Il corpo, intatto e senza apparenti segni di colluttazione, aveva un sacco infilato dalla parte della testa e un altro dalla parte dei piedi: “Liliana l’ho vista una settimana prima che scomparisse. Seduti al tavolo di un caffè, vicino al porto. Ricordo il cielo di quella giornata fredda. Grigio. Liliana era solare, felice. Aveva progetti. Sarebbe andata a Londra a trovare sua nipote. Voleva imparare l’inglese. Un animo così pensa al suicidio?”.
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Due giorni fa la notizia dell’ennesima svolta: una seconda autopsia (la prima era stata fatta dopo la riesumazione del corpo avvenuta un anno fa) avrebbe rilevato una lieve frattura alla seconda vertebra toracica, non esaminata in precedenza. Assieme ad altre lesioni e fratture. Tutto questo farebbe ipotizzare che Liliana Resinovich sia stata colpita da qualcuno: “Era ora. Si ammette che qualcuno potrebbe aver ucciso mia sorella. E che non si è suicidata, come ha sostenuto per due anni la Procura”.
S’indebolisce, dunque, la tesi che Liliana fosse depressa, afflitta da un rapporto non idilliaco con il marito e da uno senza futuro con un uomo che stava frequentando, Claudio Sterpin. Il fratello Sergio racconta la sua battaglia: “Ci sono stati momenti difficili. Duri. Ho subito pressioni psicologiche, indirette. Messaggi. Volevano che mi convincessi del suicidio. Io ho chiesto di parlare con il procuratore (da un anno in pensione), il sostituto procuratore (ora in altro ufficio), il capo della Mobile, il questore. Nessuno mi ha ricevuto. Conoscendo Liliana mi è sembrato inverosimile l’allontanamento volontario. Cosa peraltro che strideva con la tranquillità manifestata dal marito. E poi le foto. Il corpo di Liliana – spiega il fratello della vittima - era stato appena trovato. Nel suo ufficio il capo della Mobile mi mostra la copia di una sua foto. Sul lato sinistro del viso scorgo dei grumi di sangue. Evidenti. Ricordo di aver detto: ‘Ma è stata picchiata’. Mi hanno risposto che si trattava di segni post mortem. Passano i giorni. Un medico mi fa vedere altre foto. Noto ferite pure sul lato destro del viso, tumefatto”.
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Poi l’attacco al cognato: “Ci sono molte cose che deve chiarire. Lui ha creduto all’ipotesi del suicidio. Ha presentato ricorso contro l’archiviazione solo dopo che lo abbiamo fatto io e mia cugina. Come mai? Nei tre giorni successivi alla scomparsa era convinto che si trattasse di allontanamento volontario e non capisco ancora perché abbia detto: ‘Io ho l’alibi perfetto’. Perfetto per cosa? Credo che sia a conoscenza di molte cose”.
Quanto all’amante, Sterpin, c’è invece fiducia: “Abbiamo parlato diverse volte. Gli ho teso anche delle trappole per capire fino a che punto potesse essere affidabile. È stato onesto. Ora aspettiamo l’ufficialità delle perizie. Poi con il mio avvocato decideremo cosa fare. L’assassino deve pagare per ciò che ha fatto. Si è perso del tempo, ma alla procura non mancano gli elementi. Questa volta mi auguro agisca meglio”.
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