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Chi non digerisce gli spaghetti in camicia nera: occhio a cosa mangi

Lorenzo Cafarchio
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All you can(’t) eat. Contrordine compagni, la pastasciutta è il nemico - non solo calorico - più pericoloso per i palati antifascisti. Succede che arriva a Venezia un medico originario di Ravenna e per riempire il proprio stomaco decide di recarsi al ristorante Al Colombo, a un tiro di schioppo dal teatro Goldoni, e si siede a tavola. Sembra tutto di suo gusto. Il personale, l’arredamento, la posizione e la mise en place. L’animo da Alessandro Borghese è sempre più soddisfatto, eppure c’è una pietanza che può ribaltare tutto. La fame sale e l’occhio corre rapido tra le proposte del menù. Alt. Nella versione inglese si legge spaghetti with cuttlefish in ink sauce, in italiano spaghetti al nero di seppia, ma il proprietario ha deciso di dargli un altro nome: spaghetti in camicia nera. Il panico.

Le interiora che non possono correre sull’Aventino, dato che siamo in laguna, sobbalzano. Il ditino si alza e viene interpellato il gestore del locale Domenico Stanziani. La provocazione della seppia è troppo forte e il medico è costretto ad abbandonare il ristorante. Non sappiamo se in stile Scala di Milano, uscendo indignato, abbia gridato viva la pasta al pomodoro antifascista. Rosso sugo. Oppure, ipotesi al vaglio degli inquirenti culinari, il ravennate potrebbe essere seguace di Filippo Tommaso Marinetti e della sua crociata contro la pasta. In effetti nel volume “La cucina futurista”, correva l’anno 1931, al primo punto del manifesto scriveva il monito contro la pastasciutta. «Appesantisce, abbrutisce, illude sulla sua capacita nutritiva, rende scettici, lenti, pessimisti». Dietologi di tutto il mondo unitivi nella crociata. Del resto la pasta, ammoniva ancora Marinetti, porta a «fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo».

Eccolo il neutralismo contro cui bisogna scagliarsi, la pastasciutta in camicia nera è l’alfiere dell’eterno ritorno. L’Ur-fascismo parte dai fornelli e non vuole fare prigionieri. E nemmeno sconti, perché come fa notare qualche giornale locale, il piatto costa 24 euro. Quindi oltre a essere in camicia nera è pure classista. Intollerabile provocazione. I Gaviscon di tutto il mondo nulla possono e poi vuoi mettere la bocca impastata di nero a fine pasto? Orrore, allertate il presidio.

Il proprietario, davanti a questa ennesima allucinazione culinaria, ha dichiarato: «Non c’è alcun riferimento al fascismo, è semplicemente un piatto di spaghetti e il suo nome è così da quasi cinquant’anni. Sono spaghetti resi scuri dal sugo, come se fossero rivestiti da una normalissima camicia nera, tutto qua». La segnalazione prende il via dalla rubrica Pietre, sulle colonne di Repubblica, di Paolo Berizzi. Indigesto questo spaghetto in camicia nera per il giornalista bergamasco che ha messo all’indice pure il ristorante Al Colombo di Venezia. Ora non resta che aspettare il prossimo 25 luglio per la consueta pastasciutta antifascista. Burro e parmigiano mi raccomando. Importante non fare confusione con gli ingredienti sotto il solleone estivo, perché finire nel libro nero (o menu nero) è un attimo.

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