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Luca Beatrice: musica e libri, lacrime e sorrisi. Un addio in bianco e nero

Lucia Esposito
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Il cielo di Torino è basso, liquido e bianco. Opprime e disorienta, inghiotte forme e colori. È un manto che avvolge la facciata in pietra bianca della Cattedrale di San Giovanni Battista, bianche sono le rose che coprono la bara in legno chiaro, bianca è l’auto che la trasporta. Lungo i dodici gradini che conducono al sagrato si accalcano centinaia di persone. Arrivando da via XX settembre sembrano un’enorme macchia nera ma da vicino formano un unico abbraccio stretto come un nodo attorno a Luca Beatrice.

Volti scuri, sguardi perduti nel vuoto, risucchiati dentro la stessa domanda, quel perché che risuona nella testa di chi è arrivato qui da Roma, da Milano, da Venezia, da Londra, da Parigi e da chissà quale altro pezzo di mondo. Un perché che rimbomba ancora, anche quando i batacchi delle campane che cantano la morte si mettono a tacere. C’è Elisa, la moglie, troppo giovane per vestire il lutto delle vedove. C’è il piccolino di casa, Giovanni, avvinghiato alla sua mamma, la mano nella mano. Le cinque lettere della parola morte incomprensibili per i suoi cinque anni, sa solo che il super papà non è qui con lui a stringergli l’altra manina. Ci sono i figli Giulia, Stella e Niccolò vestiti di nero.

Un funerale in bianco e nero, come la sciarpa della Juventus che ricopre la bara. I colori della sua fede, della sua vita, della sua Juve, hanno accompagnato Luca anche nell’ultimo saluto a questo mondo. I rossi, i blu, i gialli, i verdi sono sfuggiti dalla tavolozza per lasciare solo il bianco e il nero.

L’inizio e la fine. Ci sono il ministro della cultura Alessandro Giuli, Enzo Ghigo, presidente del Museo del Cinema, Elena Loewenthal del Circolo dei lettori. Ci sono Luciana Littizzetto, Giuseppe Culicchia, Max Casacci, il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti e il direttore di Libero Mario Sechi, ci sono i colleghi Luigi Mascheroni, Pierluigi Panza e Carmine Festa. Gli amici di una vita, galleristi, collezionisti, motociclisti, musicisti e artisti. E poi i suoi allievi con gli occhi pieni di lacrime, abbracciati per dividere il dolore e moltiplicare i ricordi. Cercano risposte, ma stavolta il professor Beatrice non può dare nessuna spiegazione. Vecchi e giovani, vip e sconosciuti in una chiesa gremita, chiusa in un surreale silenzio.

A don Silvio il compito difficilissimo di trovare le parole giuste per rendere minimamente accettabile questa morte così assurda, così repentina, così inspiegabile. Si affida al Vangelo di Giovanni. «Mi sono immaginato Luca come Nicodemo, simbolo dell’uomo in ricerca, che parla con Gesù di notte. Nella Bibbia la notte è simbolo del Male. La notte qui è simbolo di una vita in ricerca, di qualcosa che va oltre e di un senso più profondo». Luca come Nicodemo, cercatore di un senso dentro quel mistero che è la vita e il suo altrove. Poi Luca Beatrice smette di essere il presidente della Quadriennale, il professore, il saggista, il giornalista, il curatore d’arte, il polemista e, nelle parole dei suoi tre figli, diventa solo un papà meraviglioso.

«Mio padre era poliedrico, mai banale. Una volta c’era un bambino che mi dava il tormento: lo invitò a casa a vedere la Juve e alla fine gli disse che gli avrebbe spezzato le gambette se non avesse smesso. Capii che avevo un padre con tanti padri dentro. La moto, la Juve, il panino salsiccia e maionese invece dei ristoranti chic. In ognuno di noi figli ha lasciato un’impronta. Giulia, meticolosa e stakanovista, ha assorbito la tua cultura. Niccolò la tua ironia e le trasferte allo stadio. Giovanni, anche se ti ha avuto poco, ci ha fatto rivivere il tuo amore. Ti facevo arrabbiare, ma provavo a cavarmela dicendo di essere una rockstar comete. Spero di aver ereditato la tua eloquenza e la tua ironia. Ci hai lasciati, ma mi hai dato tre madri e tre meravigliosi fratelli. Sei tutta tuo padre, mi dicevano. Sarai sempre in me. La tua bambina», dice Stella restituendo a ciascuno di noi un pezzetto di quell’affascinante arcobaleno che era la vita di Luca. Giulia, invece, ha ricordato l’ultima chiacchierata con il padre sul libro Intermezzo della Rooney.

«Papà detestava Sally Rooney, o almeno così diceva: vorrei aver l’illusione di poter intavolare con lui un’ultima polemica, una delle cose che tenevano vivo il nostro rapporto.
Quando hai attraversato la Dead Valley con la moto pensavo fossi immortale. Mi spiace che mio padre non abbia finito Intermezzo: avremmo litigato e dopo settimane mi avrebbe mandato un messaggio con scritto “il libro che mi hai consigliato mi è piaciuto”». Niccolò ha preso la parola per ultimo: «Le tue passioni sono diventate anche le mie: ora mi hai fatto crescere più in fretta». E poi la promessa, la più importante, da maschio a maschio: «Non ti preoccupare: ci penso io a tutte queste ragazze e a portare Giovanni allo stadio».

Alessandro Giuli non aveva preparato nessun discorso ufficiale. Ha parlato a braccio, come a un amico. «Non ho alcuna intenzione di rassegnarmi alla perdita di Luca Beatrice: c’è un senso per tutto, ma questo senso non lo trovo. Aveva un carattere straordinario, una forza d’animo e una grande strafottenza: era il migliore di noi peggiori. Ha fatto un lavoro straordinario sempre: era un curatore, un ricercatore d’arte e un intellettuale profondo che ha insegnato il piacere dell’intelligenza a tante persone. Lo aspettavano grandi cose: l’unico modo di rassegnarsi alla sua perdita è amare come lui, vivere come lui e per lui». L’amico Michele Coppola, direttore generale delle Gallerie d’Italia racconta dell’arte di Luca di tessere elaborate trame d’amore e di bellezza. Ha rivelato che ogni 24 dicembre Luca voleva che una quindicina di amici si ritrovassero, un rito collettivo da consumare in sfregio al tempo che sfilaccia gli affetti e sgretola i legami. Luca teneva insieme anche l’impossibile e la sua famiglia allargata, le tre mogli e i quattro figli sono la materializzazione di questa sua straordinaria capacità.

La bara lascia la chiesa mentre risuonano le note di Into my arms di Nick Cave, dolci e struggenti, una ninna nanna per l’eterno riposo. Davanti alla chiesa, un banchetto con il registro delle firme e tante buste bianche. La foto di Luca e, dietro, invece della preghiera, un verso de «La sera dei miracoli» di Lucio Dalla. «Lontano una luce diventa sempre più grande /Nella notte che sta per finire / È la nave che fa ritorno per portarci a dormire». 

La foto che tra lacrime e sorrisi ci portiamo a casa e nel cuore è in bianco e nero. Come tutto, oggi. Ma a te, Luca, sarebbe andato bene, benissimo, così.
 

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