Faenza, la vera madre è sui social: come la ritrovano dopo 20 anni
Non ha mai smesso di cercarle. Perché il cuore di mamma è così. Ci possono essere difficoltà, ci possono essere incertezze, la vita ti può portare a dover compier scelte che neanche vorresti, che non avresti mai immaginato di dover fare: ma il pensiero torna sempre lì, ai tuoi figli, anche (soprattutto) se per vicissitudini che sono un peso sullo stomaco hai dovuto lasciarli andare troppo presto. «Ero a Roma», racconta questa donna al quotidiano Il resto del Carlino, restando anonima perché la sua è sì una storia a lieto fine (il fine più bello, quello del ritrovo), ma è anche una vicenda che parte dal dolore, «e avevo piccola la prima figlia. Mi sono trovata in difficoltà e ho chiesto aiuto. Ho sempre tenuto le loro foto, i documenti e anche i vestitini. Sempre. Vicino a me».
Stacco temporale. Sono passati vent’anni. Da inizio secolo a oggi. Una vita (anzi due) fa. Quella di Camilla (la più grande) che oggi ha 23 anni, e quella di sua sorella Alysia che invece ne ha 21. Una venuta al mondo a Roma, appunto, e l’altra a Cento, in provincia di Ferrara. Sono entrambe maggiorenni, adesso. Sono due ragazze bellissime e sono riuscite, finalmente, a rintracciare la loro madre biologica che è una signora ecuadoregna che ha fatto di tutto per ricongiungere la sua famiglia naturale. Una ricerca. Lunga, lunghissima, che con le nuove tecnologie è più facile ma non comunque una passeggiata (provateci voi a scandagliare i social network, a lanciare appelli su Facebook, ad affidarvi alla rete) e persino bidirezionale. Nel senso che lei, la madre, in Ecuador ha questo chiodo fisso ed è decisa a ritrovare le sue due bambine, ma anche loro, specialmente Alysia, qui, in Italia, da dieci anni sta facendo lo stesso. Perché è innegabile, è umano, è quel legame che ci portiamo dietro tutti.
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Alysia ora vive a Faenza (Ravenna), in quella stessa città in cui è cresciuta assieme a Camilla. Prima dell’adozione, per un breve periodo nel quale erano in carico ai servizi sociali di Forlì, hanno visto mamma Rosa durante i brevi incontri e nelle visite che le erano concesse. Loro, le “bambine” hanno vissuto un’infanzia felice, sono state amate, hanno avuto tutto quello di cui potevano aver bisogno. Ma per lei, per la loro madre, quel periodo è stato «un inferno»: «Ho sofferto tanto ma ho sempre avuto speranza». Ed è proprio questa parola speranza - che accomuna i due fili di una matassa che si sta finalmente ricongiungendo. Dall’altra parte del mondo, Alysia, ha lo stesso sentimento. «Vedendo famiglie che si riuniscono ho ricominciato a sperare». Già. «Avevo bisogno di conoscere il mio passato, le mie origini e cosa è successo. Quando alle cinque del mattino di qualche giorno fa ho sentito suonare il telefono e, leggendo, ho scoperto che mi aveva scritto la mia madre biologica è stato il giorno più nello della mia vita».
Non si sono ancora viste in presenza. Quest’abbraccio a tre, per il momento, è virtuale: fatto di telefonate continue (ogni giorno) e con la telecamera del cellulare, di scambi di messaggi e di foto e di sensazioni che, forse, probabilmente, solamente chi le prova può tentate di descrivere: epperò adesso, per davvero, è tutto più semplice. C’è il progetto, tanto per cominciare, di ritrovarsi assieme, magari nel nostro Paese. C’è la possibilità, c’è un collegamento ripristinato. «Sto scoprendo le mie radici e sto trovando tante persone», chiosa Alysia, «ho trovato anche il mio padre biologico in Polonia e con lui anche un fratello e un’altra sorella».
La ricerca delle proprie origini biologiche è un fenomeno che resta immutato nel tempo, ma che con l’avvento di internet e del www ha avuto una spinta mica da poco. Un ragazzo adottato su tre riesce, dicono le statistiche italiane, a stabilire un contatto con la sua famiglia naturale usando un computer. Il 61% dei genitori adottivi fa lo stesso. Non è il caso di Alysia e di Camila, ma in Italia ci sono almeno 400mila persone che non sono state riconosciute alla nascita e nel 2013 la Corte costituzionale ha aperto loro la possibilità di accedere alle informazioni che le riguardano: da allora più di 2mila istanze sono state presentate nei tribunali per i minorenni e il 65% dei genitori biologici ha deciso di rimuovere l’anonimato dalle proprie cartelle. Due re-incontri su tre vanno a buon fine. Ed è una vittoria di tutti quando succede.