I pro-Pal si prendono anche il sindacato dei giornalisti: "Genocidio"
Un evento a senso unico. L’ennesimo. Tutto in chiave pro Palestina e anti-Israele. Con un’aggravante: a ospitare la conferenza, dal titolo già di per sé emblematico, “Il genocidio di Israele a Gaza”, è stata la sede romana della Federazione nazionale della stampa italiana, ovvero il sindacato unitario dei giornalisti. Una scelta che ha fatto storcere il naso a non pochi dentro (e fuori) l’associazione, perché non può esistere informazione senza contraddittorio.
Guardando poi i relatori del convegno, basato su un rapporto targato Amnesty International, il cerchio si chiude. A partire da Francesca Albanese, “relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei territori palestinesi”, che nel 2014 si era distinta per una lettera aperta a mezzo social che recitava testuali parole: «America ed Europa, soggiogati dalla lobby ebraica gli uni, e dal senso di colpa per l’Olocausto gli altri, restano al margine e continuano a condannare gli oppressi - i palestinesi - che si difendono con i mezzi che hanno (missili squinternati) invece di richiamare Israele alle proprie responsabilità secondo la legge internazionale».
Genocidio, pulizia etnica e deportazione – degli israeliani nei confronti dei palestinesi, va da sé... – sono le parole preferite del suo vocabolario. E Hamas? Secondo il direttore di Un Watch, Hillel Neuer, intervenuto al Congresso Usa, Albanese avrebbe addirittura fatto capolino a una conferenza del movimento nel novembre del 2022 dicendo loro candidamente: «Avete il diritto di resistere». Oltre a lei, ecco Grazia Careccia, vicedirettrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International, un’altra che non ha nessun dubbio sulla parola “genocidio”: «Il nostro rapporto guarda a tutta una serie di violazioni commesse da Israele a Gaza. Uno Stato che sta commettendo ancora un genocidio». E poi Tina Marinari, coordinatrice delle campagne di Amnesty, e Ruba Salih, professoressa ordinaria di Antropologia all’Università di Bologna che in una recente intervista, a proposito appunto di informazione, spiegava che «se Israele forse ha potere di manipolare i media mainstream come il New York Times o altri, non c’è modo di fermare l’informazione indipendente».
A moderare Riccardo Noury, portavoce di Amnesty, contento solo a metà per gli ultimi sviluppi nel conflitti: «Bene il cessate il fuoco, ma dall’ottobre del 2023 è stato oscurato quello che accade in Cisgiordania. Il rischio è che cessino le armi nella Striscia ma non nei territori occupati». Tra chi non ha affatto gradito la propaganda palestinese all’interno di una sede istituzionale c’è Elisabetta Fiorito, giornalista e scrittice, membro del consiglio direttivo del sindacato Stampa Romana che fa capo alla Fnsi.
«Mi dissocio da questo pensiero unico. È assurdo che la Fnsi non consideri tutte le visioni in campo e si finisca dunque per portare avanti l’attacco perenne a Israele. Parlare di genocidio è improprio, non esiste un genocidio palestinese, questa definizione lasciamola alla Shoah, alle vicende della Cambogia, del Ruanda e dell’Armenia. Non giustifichiamo assolutamente Netanyhau, però bisogna avere equilibrio quando si parla di Palestina. Francesca Albanese è stata criticata persino all’interno all’Onu. Facciamo i giornalisti...», spiega a Libero Fiorito. Per quanto riguarda invece il ruolo di Amnesty, secondo la giornalista, «piuttosto che di Israele dovrebbe preoccuparsi di più di chi viene condannato a morte in Iran, delle donne che in Afghanistan non possono parlare in pubblico, delle dittature».