Nel mondo reale le guardie inseguono i ladri
Quando sul caso Ramy cominciarono a circolare le prime tesi colpevoliste contro i Carabinieri, l’impegno di Libero fu quello di avvisare i naviganti: strumentalizzare un’indagine privilegiando una versione avrebbe intorbidito le acque della verità e avvelenato i pozzi dell’opinione pubblica.
Cosa regolarmente successa, con un’escalation rapida e manifestazioni violente che si moltiplicano. I professionisti dello sfascio sono all’opera, cercano il morto, “l’incidente” perfetto per innescare il caos. Con il passare dei giorni il quadro non è più così cristallino come lo presentava il Tribunale dell’Inquisizione, una serie di video e testimonianze mostrano gli agenti fare il loro dovere, ieri «fonti della Procura» citate dalle agenzie di stampa hanno spazzato via la tesi che lo stesso inseguimento fosse contro la legge, non c’è stata «alcuna violazione di regole, protocolli o norme penali nelle modalità dell’inseguimento».
Sembra una precisazione formale, ma in realtà si tratta di un passaggio che in questa storia ha un peso enorme, perché fa cadere un pezzo dello scenario cospiratorio che è stato costruito, il circo sinistro messo in piedi, vacilla. Se non ti fermi all’alt degli agenti, scatta l’inseguimento e non solo «l’annotazione della targa», come ho sentito dire in tv da una serie di guitti da talk show, interessati non alla ricerca della verità, ma alla condanna dei carabinieri, trattati come presunti colpevoli. L’inchiesta farà il suo corso, vedremo l’esito, ma un punto è chiaro: nel mondo reale, le guardie non sono colpevoli perché hanno inseguito i ladri.