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Palermo, padre 48enne si impicca: era vessato e minacciato dalla figlia 15enne

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Alessandro Dell'Orto
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Quando - lo scorso marzo l’hanno trovato impiccato in casa a Villaggio Santa Rosalia, quartiere di Palermo, hanno pensato che G.M., 48 anni, un cuoco disoccupato, non avesse retto la morte della moglie (avvenuta per tumore poco tempo prima), non si fosse più ripreso dal lutto, fosse piombato nell’inferno della depressione senza riuscire a rialzarsi. Poi, però, è stata ritrovata una lunga lettera lasciata dall’uomo e si è capito che c’era qualcosa di più. Ancora più orribile, devastante, drammatico per un padre: le minacce, le botte, i ricatti, le pressioni psicologiche e le estorsioni della figlia 15enne e del suo fidanzatino di 17 anni, rampollo di un boss mafioso palermitano.

Nello scritto lasciato gli altri due figli, G.M. ha raccontato l’incubo che ha vissuto e che lo ha sopraffatto (puntando il dito contro il 17enne che, a suo dire, ha portato la figlia sulla cattiva strada). Tutte accuse poi confermate dai numerosi messaggi WhatsApp trovati nel cellulare dell’uomo, che per tre mesi è stato quotidianamente preso di mira. I due ragazzi, dopo otto mesi di indagini, sono stati arrestati per estorsione aggravata e morte come causa di altro reato (l’udienza preliminare si aprirà il 26 marzo davanti al gup del tribunale per i minorenni): lei è stata collocata in una comunità a Catania mentre lui, nel frattempo diventato maggiorenne, è detenuto al carcere del Malaspina.

EREDITÀ E GRAVIDANZA
A originare le tensioni tra padre e figlia sarebbe stata inizialmente l’eredità lasciata dalla madre, circa 10mila euro, e la situazione sarebbe degenerata rapidamente fino a sfociare nelle minacce e nella violenza. Già, perché secondo l’accusa i due ragazzi (lei sarebbe stata la mente e il fidanzato sarebbe stato il braccio esecutore) per tre mesi avrebbero messo in atto un preciso piano premeditato per ottenere denaro, sfruttando il legame affettivo con il genitore (ma le estorsioni avrebbero avuto ripercussioni anche su altre persone, tra le quali la nonna paterna della ragazza che nel procedimento figura come parte offesa) e arrivando a ricatti e avvertimenti in chat. Per spillare denaro al padre, come prima cosa, i due giovani avrebbero inscenato di essere stati minacciati da alcuni uomini che li avrebbero picchiati se non avessero pagato, ma G.M. non ci sarebbe cascato.

A quel punto, allora, la ragazzina avrebbe avvertito il padre del fatto che, se non fossero arrivati i soldi, lei non sarebbe andata più a scuola e ciò avrebbe causato l’intervento dei servizi sociali e poi l’avrebbe intimorito con frasi tipo «Ti prendiamo a legnate, ti spariamo», avvisandolo che se non avesse consegnato il denaro richiesto se la sarebbe vista con il fidanzato e con il suocero e che lo avrebbero «calunniato, accusato di violenza sessuale e fatto arrestare». Non solo. A rendere la situazione ancora più drammatica e delicata è stata la gravidanza della ragazzina (poi ha partorito e il neonato è stato provvisoriamente affidata a un tutore dal tribunale minorile). La 15enne, comunicando al padre di essere incinta, avrebbe chiesto altri soldi dicendo che in caso di rifiuto si sarebbe uccisa con «il bambino che portava in grembo», ottenendo così dall’uomo diverse somme di denaro.

Stalkerizzato, stressato, nel panico, disperato e senza più soldi, secondo gli inquirenti, dopo tre mesi, G.M. non ce l’avrebbe più fatta ad andare avanti e, per questo motivo, si sarebbe suicidato. Tesi, però, non condivisa dall’avvocato Rosalia Zarcone, che in una prima fase ha seguito e difeso la ragazza (ma che poi ha rinunciato all’incarico per differenze di posizione sulla linea difensiva rispetto a una collega), la quale contesta l’accusa di istigazione al suicidio e stalking nei confronti del padre: «Non vi è stata alcuna istigazione al suicidio del padre, che è avvenuto per motivi indipendenti dalla richiesta della sua quota di soldi lasciati dalla madre».

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