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Luca e Cristian, i due alpinisti morti sul Gran Sasso: perché non sono riusciti a salvarsi

Claudia Osmetti
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«La prevenzione degli incidenti è più determinante di tutte le accortezze che possiamo adoperare una volta che il sinistro, purtroppo, si è verificato». Fabio “Rufus” Bristot, consigliere nazionale del Soccorso alpino e speleologico, non ha dubbi. Prevenire-è-meglio-che-curare. Specie lassù, quando una leggerezza o il meteo che cambia possono fare la differenza. «In Italia la prevenzione viene sempre considerata come un aspetto insignificante, quasi una perdita di tempo. Invece non c’è niente di più esistenziale».

Bristot, però gli incidenti, purtroppo, accadono...
«Certo. Succedono anche a quelli preparatissimi. Ma mettiamola così, se ci prepariamo prima si abbassano le possibilità dei sinistri. Tra l’altro non è mia intenzione criminalizzare nessuno, men che meno in riferimento a questa ultima tragedia che ci ha toccati tutti».

Certo. A quelle condizioni, bloccati in quota, una “truna”, cioè una sorta di piccolo igloo improvvisato, può salvare la vita?
«La correggo: di improvvisato, in una “truna”, c’è niente. Va fatta in determinati modi, non è un riparo per modo di dire. Io ho dormito in “truna” per svariate settimane in un ghiacciaio della Patagonia, diciamo che le conosco abbastanza. Glielo anticipo, però: non si possono fare sempre».

 

 

 

In che senso?
«Non sempre la neve presenta le caratteristiche che consentono di realizzare una “truna”. Pensi alla tipologia dei cristalli, per esempio: se la neve è molto farinosa è praticamente impossibile creare qualsiasi ricovero. La prima cosa da fare, in certi casi, è cercare di è abbassarsi di quota».

Ma se non è fattibile? Se c’è una bufera o il vento forte?
«Il vento complica molto le cose perché abbassa tantissimo la temperatura percepita. Faccia conto che in alta montagna, se ci sono raffiche di 70 chilometri orari, che sono abbastanza frequenti, se la temperatura reale è di meno dieci gradi quella percepita può arrivare fino a meno 23. È una bella differenza per la tenuta dell’organismo e, infatti, gioco forza l’abbigliamento diventa determinante. A ogni modo, se non è possibile scendere verso valle bisogna stare attenti che la “truna” non diventi una tomba».

Addirittura?
«È necessario che qualcuno stia sveglio per spallare la neve. Non bisogna scavarla troppo in profondità perché potrebbe collassare su se stessa. Non si può pensare di realizzarne una a mani nude o con gli sci, serve una pala che è nella dotazione standard degli alpinisti. Ma ancora, la pala la si può usare quando la neve lo permette. Se i due ragazzi sul Gran Sasso erano in un canalone con neve fresca e precipitata da poco, sto ipotizzando, per loro era impossibile costruire una “truna”».

E il sonar Recco? Non è qualcosa di nuovo, io ricordo di averlo avuto in qualche tuta da sci già negli anni Novanta...
«È possibilissimo, non è una novità. Si utilizza ormai da almeno una trentina d’anni. Al giorno d’oggi però è più performante, soprattutto lo strumento ricevente».

Cioè?
«Una volta era uno zaino di una dozzina di chili, adesso è poco più che un borsello e capta non solo i diodi (piccoli componenti elettronici, ndr) inseriti nelle scarpe e nelle giacca a vento, ma anche molti materiali metallici come gli attacchi degli sci, i moschettoni, i ganci dell’imbrago. Questo può creare dei falsi positivi: è successo sulle Dolomiti che abbia individuato tracce di residuati bellici. Bisogna stare attenti, anche se è sicuramente uno strumento importante. Glielo ripeto: ciò che fa la differenza è la prevenzione».

 

 

 

Come si articola?
«È preparazione fisica e psicologica. Chi fa una scalata deve tenere a mente le condizioni dell’illuminazione, deve conoscere le previsioni meteorologiche della zona e non affidarsi ad app generiche. Consiglio sempre di rivolgersi alle guide locali, magari al Cai (il Club alpino italiano, ndr). E l’attrezzatura, così come l’abbigliamento, è fondamentale. Spesso si pensa: “Lascio a casa il piumino, sono 400 grammi in meno, tanto torno subito”. Ma una volta che è successo l’incidente è tutta un’altra storia».

 

 

 

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