La magia del Presepe: quel sacro realismo che non si rassegna a essere rottamato
Ogni Natale il derby, in salotto, è sempre lo stesso: il presepe contro l’albero di Natale, la sacra famiglia cristiana contro il frassino cosmico della mitologia norrena, e dunque pagano, e c’è anche chili fa entrambi (casomai qualche divinità si impermalisse). Ascendenze diverse che dividono gli animi come in “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo, con l’ostinata battaglia pro o contro il presepe tra Luca Cupiello e il figlio Nennillo che deride il sontuoso realismo del padre con quella sua “acqua vera” che scende dalla montagna grazie all’azione di un “enteroclisma da dietro”: una natività innaffiata dal clistere. La dissacrazione di Eduardo mette il dito in un punto debole del presepe, più o meno consapevolmente avvertito dai seguaci dell’albero: quel quid di retorico, di solenne, e insomma, di famiglia all’antica, patriarcale come usa dire oggi, che porta con sé.
Non per niente il genio del popolo napoletano, nella bellissima esposizione di personaggi e statuine tradizionali e sacri (che possono costare anche molte centinaia di euro) in vendita nelle botteghe a San Gregorio Armeno, ha da tempo inserito alcuni “pastori” speciali, come Maradona, Berlusconi, Marilyn Monroe e Liberato, i quali vengono disinvoltamente collocati tra Maria Vergine, San Giuseppe e i Re Magi, senza che il bambinello, tradizionalmente posto nella mangiatoia alla mezzanotte tra il 24 e il 25 dicembre, dia il minimo segno di disagio.
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Tutta questa corte dei miracoli mondana e dissacrante – e qui torna l’effetto “enteroclisma da dietro” del presepe di casa Cupiello – svolge una funzione importantissima che è né più né meno quella di non consegnare il presepe (o presepio, entrambi vocaboli che derivano dal termine latino per “mangiatoia”) ai musei e alle sue oscure e remote origini medievali, quando nacque, nel Trecento, come fossilizzazione e dunque già degradazione delle precedenti sacre rappresentazioni che si tenevano nelle chiese sotto il Natale.
Venendo da quell’origine vivente, il requisito del presepe fu, fin dall’inizio, il realismo: si doveva fare con la materia inanimata quello che prima si faceva con la carne e il sangue. Ma a ben guardare, proprio questa esigenza di realismo, di immediatezza (e il carattere di arte sacra sì, ma popolare, umile) è la stessa che, oggi, porta a inserire nella sacra famiglia le celebrità mondane e i personaggi di successo, con il sottinteso che, se sono arrivati così in alto, quasi minori schiere angeliche, a Dio non devono poi essere spiaciuti. Non intrusi dunque, ma, come dicono i napoletani, “pastori” pure loro.
Se una tradizione antica come il presepe resiste è per questa sua ricchezza e duttilità sia figurativa che simbolica, che ha fatto sì che da reviviscenza della nascita di Cristo in forma rappresentativa e di spettacolo, diventasse poi una sorta di microcosmo in cui inserire tutti i propri feticci, esattamente come facevano gli idolatri di cui narra Marco Polo nel suo “Milione”. Sotto questo punto di vista, la contaminazione pagana del presepe è perfino più forte di quella dell’albero, e infatti non mancano i puristi che, di fronte all’estensione quasi illimitata della popolazione del presepe, pretenderebbero una restaurazione filologica che collocasse soltanto le figure citate nelle Scritture.
Ma seguire una tendenza rigorista sarebbe la fine del presepe. Del resto, perfino nella sacra rappresentazione che, nella notte di Natale del 1223, San Francesco allestì a Greccio, coloro che chiamò a interpretare la Sacra Famiglia e i pastori erano non santi ma uomini del suo tempo, esseri carnali, e dunque peccatori. Quando poi nel diciassettesimo secolo il presepe, uscendo dai luoghi sacri, entrò nelle case, la sede profana liberò tutta la fantasia e gli impulsi dei loro creatori, che non si fecero scrupolo di ampliare il cast della rappresentazione, ora congelata in statuine di terracotta, fino a dismisure che potrebbero sembrare figlie di una religione orientale, o come dicevamo, idolatrica, più che del cristianesimo. Ecco dunque che il presepe, rispetto all’albero che sembrerebbe (e per certi versi è) la scelta più “liquida” e leggera, la meno ideologicamente ingombrante, ritrova tutta la sua energia impulsiva, popolare, potendo espandersi quasi senza limitazioni, mescolando sacro e profano, arrivando a scatenare polemiche e dissidi psicologici, come, di nuovo, ci aveva raccontato il genio di Eduardo.