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Sinistra, chiedono la testa del poliziotto che ha sparato all'africano col coltello

Alessandro Gonzato
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Rieccoli. È di nuovo caccia allo “sbirro”. L’offensiva riparte da Verona dove domenica 20 ottobre, appena fuori dalla stazione ferroviaria, un agente della Polfer ha sparato – uccidendolo – a un maliano che gli aveva puntato un coltello da cucina. L’immigrato, nello zaino, aveva un’altra lama. Due ore prima, in un’altra zona della città, aveva aggredito due vigili scaraventandone uno a terra. Giunto in stazione, alle 7 di mattina, ha rotto alcune vetrine. Poi la colluttazione con l’agente, “colpevole” di avergli chiesto i documenti. Lo straniero si chiamava Moussa Diarra. La sinistra ora chiede “verità per Moussa” e accusa il poliziotto. Ilaria Cucchi, senatrice di Alleanza Verdi Sinistra, invoca una «ricostruzione completa da parte della Procura». «Ce l’aspettiamo, la devono ai parenti», aggiunge a Palazzo Madama. E chi sostiene il contrario? Intanto è fango sulle divise.

L’OFFENSIVA
La senatrice afferma che «mancherebbero le immagini della sparatoria», e però le indagini sono in corso, nessuno ha confermato questo particolare. Anzi, da fonti vicine all’indagine, nei giorni scorsi è trapelato che il poliziotto non avrebbe avuto scelta. Vedremo. In ogni caso siamo alla santificazione dello straniero, a cui peraltro il vescovo ha dedicato una messa, e a sostegno dei parenti di Moussa si è schierato apertamente anche un assessore della giunta dem di Verona, Jacopo Buffolo, secondo cui «a un bisogno d’aiuto si è risposto con colpi di pistola». Il maliano cercava aiuto con due coltelli: forse cercava l’arrotino.

Torniamo alla santificazione da parte della Cucchi: «Moussa ha conosciuto i “Cpr”, centri dai quali si può uscire solo pagando. Ha comprato un passaggio in un’imbarcazione verso l’Italia, rischiando la vita per costruirsi un futuro migliore. Aveva dovuto chiedere due volte asilo», continua la Cucchi, «perché il decreto legge Salvini aveva cancellato la sua richiesta. È stato accolto in un “Cas” a Verona. Negli ultimi anni aveva trovato rifugio in una casa occupata, gestita da “Para Todos”». Pure il fratello di Moussa, Djuemanga, si scaglia (a parole) contro le forze dell’ordine: «Non gli credo per nulla. Salvini ha detto che il poliziotto che ha sparato ha fatto il suo dovere: quando uno straniero ha un problema va dalla polizia, e se la stessa polizia ti uccide cosa possiamo dire?».

Paolo Borchia, europarlamentare leghista di Verona, non ci sta: «È inaccettabile che si continuino a lanciare attacchi gratuiti al governo e alla polizia. Statistiche e quotidianità descrivono un aumento oggettivo dell’aggressività da parte di stranieri alle forze dell’ordine, le associazioni di immigrati dovrebbero collaborare e vigilare sulle loro comunità, non gettare benzina sul fuoco». Il presidente di “Para Todos”, Giorgio Brasola, ha mostrato il giaccone di Moussa: «Ci sono due fori di proiettile, uno al cuore e uno ha sfiorato il cappuccio. Secondo noi non è stata una legittima difesa (il poliziotto è accusato di eccesso, ndr), ci sembra più un omicidio».

La senatrice Cucchi, la quale ha presentato un’interrogazione parlamentare, ha portato in conferenza stampa anche i rappresentanti della comunità maliana. Tra i più agguerriti, Mahamoud Idrissa Bouné, presidente dell’Alto consiglio dei maliani in Italia: «Purtroppo abbiamo un governo razzista», ha sentenziato.

 

 

 

BRAVI RAGAZZI
Parte della comunità maliana - a cui si sono aggiunti parecchi esponenti dei centri sociali - qualche giorno dopo l’uccisione del connazionale ha sfilato per le vie del centro lanciando bottiglie e sassi dentro il giardino del tribunale, dove alcuni manifestanti volevano irrompere. I poliziotti, in assetto antisommossa, ha fatto da scudo. Ma i violenti e i razzisti sono loro. E gli italiani...

 

 

 

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