Scuola, un forma di "competizione" che migliora l'offerta di istruzione
Con un termine inglese che potrebbe far storcere il naso a molti si parla di ranking, cioè di posizione in classifica. A maggior ragione l’imbarazzo cresce, fra i puristi, se ad essere confrontati e messi in classifica sono gli istituti scolastici. È facile immaginare lo scandalo che provano coloro che della cultura hanno un’idea notarile, ove la profondità e la finezza mentale coincidono con un timbro apposto o un titolo conseguito presso una qualsiasi scuola statale. O semplicemente coloro che, tardivi emuli di Don Lorenzo Milani, vorrebbero forgiare la scuola secondo i dettami di un’ideologia egualitarista e anti-meritocratica. Costoro gridano al complotto neoliberista, alla mentalità aziendalistica che le centrali del potere mondiali stanno lì lì per diffondere in ogni campo o attività umana. Qui però, a rifletterci su, si tratta di ben altro, cioè della messa a disposizione di strumenti utili per le famiglie e per gli stessi giovani che intraprendono una carriera di studi.
Stiamo parlando della classifica stilata ogni anno dalla Fondazione Agnelli, che mette a confronto le scuole superiori italiane sulla base di diversi parametri tendenzialmente “oggettivi”. I dati possono essere consultati, ed anche incrociati fra loro, all’indirizzo www.eudoscopio.it. I due principali dati sono relativi, rispettivamente, alla riuscita nella vita universitaria e all’inserimento nel mondo del lavoro di coloro che hanno ottenuto il diploma in una scuola piuttosto che in un’altra. Il problema a cui queste classifiche cercano di rispondere è molto serio ed è vecchio quanto il mondo.
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Esso concerne niente meno che il “progetto di vita” che ognuno intende costruire per sé e quindi la scelta formativa più adatta e coerente per provare a realizzarlo. Una scelta che dovrebbe essere quanto più possibile “consapevole”, cioè non improvvisata e non subita. Per scegliere consapevolmente bisogna prima di tutto conoscere, e queste classifiche sono senza dubbio utilissime se ben utilizzate e integrate con altre forme di conoscenza, soprattutto diretta (visita nelle scuole, confronto con chi le ha già frequentate eccetera). Quello della coerenza fra obiettivi e mezzi è tema importantissimo per due motivi: per non perdere tempo, accorgendosi in ritardo di aver fatto la scelta sbagliata; per non dissipare le risorse economiche proprie e dei propri genitori. Si dice che il rischio sia che si introduca la concorrenza anche nel mondo della scuola. Magari! Non solo la competizione non è un male neanche nel campo delle idee o fra ci svolge attività intellettuali, ma si può ben dire che essa è stata il motore che ha fatto progredire nei secoli il bagaglio di conoscenze dell’umanità. La nostra civiltà è tutta basata sull’idea di un libero campo di gioco ove le opinioni e le idee si confrontano e gareggiano in un regime di pluralismo. Da qui la necessità che anche le scuole si sforzino ognuna di fare meglio delle altre, soddisfacendo meglio le esigenze di formazione dei propri utenti.
Di qui, ad esempio, le classiche battaglie liberali contro il monopolio di Stato nella scuola, per una “scuola libera”, o per la concessione di un “bonus scuola” alle famiglie in modo che possano utilizzarlo come meglio credono. Il rischio vero è infatti chele scuole migliori siano quelle a pagamento e che i genitori meno abbienti siano costretti a mandare i loro figli, pur bravissimi, nelle scuole statali solo perché non hanno disponibilità economiche adeguate. Analizzando un po’ più da vicino i dati forniti quest’anno dalla Fondazione Agnelli, le novità o gli elementi su cui riflettere mi sembrano essenzialmente due: i risultati di eccellenza raggiunti da molti licei di provincia e l’avanzare in classifica nelle grandi città dei licei paritari. Sono elementi che fanno riflettere e che vanno giudicati, a mio avviso, positivamente. Essi infatti testimoniano ed esaltano il carattere polifonico e pluralistico del nostro Paese, la cui identità plurale si costruisce anche e soprattutto con la forza di un sistema formativo diffuso. Un altro dato che pure deve far riflettere è il deficit formativo accumulato dagli studenti che hanno preso la maturità nel periodo immediatamente successivo al Covid, come dimostra la loro scarsa performance a livello universitario. A riprova di come la gestione politica di quell’epidemia fu a dir poco discutibile, del tutto incurante delle conseguenze sulla psiche e sulla vita sociale dei giovani costretti a subirle. Tutto sommato, il principio liberale che impone allo Stato di tenersi lontano dalle vite dei singoli, e anche dal libero incontro fra domanda e offerta formativa, è sempre il più saggio.