Secondigliano, il "Glovo del carcere": ecco cosa consegnano e per quali cifre
Professione “dronista”. Requisiti per l’impiego: capacità informatiche elevate, buona manualità, disponibilità a lavorare in team, orari flessibili e una certa propensione al crimine. Ché sì, questo è un mestiere illegale. Però è anche un mestiere assai richiesto, dato che tecnologia che esiste e utilizzo improprio che ne deriva. I droni, quegli aggeggi volanti identificati (nel senso che oramai son così comuni che al primo ronzio sopra la testa neanche ti vien più in mente di controllare), radiocomandati da terra, spesso da un ragazzino ma non è detto, a metà tra la moda e la necessità: ecco, i droni sono sempre più impiegati per le consegne a domicilio. Anche in carcere, però.
Secondigliano, Napoli. L’ultima retata della procura ha arrestato, nei giorni scorsi, dodici persone, affiliate al clan della Vanella Grassi, che è una rete della camorra con basi anche a Scampia. In un anno e mezzo avevano trafugato dentro il penitenziario smartphone, telefonini, hashish, marijuana, e cocaina. Con un metodo infallibile (finché non le hanno beccate): dall’alto. Avevano persino un tariffario definito.
La consegna di un cellulare vecchio modello, di quelli senza la connessione dati (cioè senza internet) veniva 300 euro. Per un dispositivo più moderno, di ultima generazione, metti anche in 5G, il prezzo saliva a 1.300. Il costo di qualche dose di droga (ma questo è riferito a retate precedenti) si aggirava intorno ai 700. Per ogni trasporto, a ogni modo, che fosse un oggetto o un altro, il “dronista” si portava a casa, pulito pulito, un compenso di 800 euro: i droni impiegati erano stati modificati (potevano raggiungere quote di crociera molto alte, fuori portata per i dispositivi attualmente presenti sul mercato) per permettere loro di aggirare il sistema anti-intrusione che il penitenziario aveva invero adottato, decollavano (e rientravano) o da un campo rom sito vicino alla prigione oppure dal terrazzo di uno degli indagati e il giro d’affari è riuscito a macinare, in poco più di dodici mesi, cifre a cinque zero. C’erano addirittura detenuti che facevano ordini sfruttando le piattaforme di e-commerce presenti on-line: quelle che usiamo tutti, ordinando dal paio di sneaker all’orologio digitale.
Non è la prima volta che un servizio “tipo Glovo” (e vada sé che Glovo, l’originale, con questa vicenda e tutte le altre simili c’entra nulla) porta dietro le sbarre ciò che per regolamento sarebbe vietato o che, comunque, potrebbe passare solo a seguito di numerosi e accurati controlli da parte delle guardie di sicurezza.
A settembre, a Caltanissetta, due ragazzi italiani sono stati intercettati dalle Fiamme gialle mentre cercavano di “catapultare” dentro la casa circondariale siciliana uno zaino attaccato a un drone con dieci microcellulari, due smartphone, dodici schede sim, accessori per la ricarica e cento grammi di cannabis. Per quel “delivery” si erano fatti pagare 5mila euro. A maggio sono finiti in manette in tre, ad Asti, praticamente nello stesso modo, ossia tentando di trasportare cinque telefonini all’interno del penitenziario cittadino.
A marzo, ancora a Napoli, un altro blitz della polizia ha fatto scattare diciannove manette per lo stesso, identico, motivo. Ma poi ci sono anche Frosinone, Bari, Bologna, Torino, Trento Bergamo. È la nuova frontiera dei “corrieri” per i detenuti. E non è un caso che i magistrati partenopei, da tempo, abbiano chiesto l’istallazione dei jammer, quei disturbatori di frequenza che fanno perdere il contatto radio tra il dispositivo in volo e chi lo comanda da remoto: l’uso dei droni, secondo il nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, ha subito un rialzo con e in successone alla pandemia da Coronavirus (da un lato perché la sospensione delle visite di parenti e conoscenti aveva sforbiciato anche sul trasporto di oggetti proibiti e dall’altro perché in quegli anni lì, quelli del lockdown, ci siamo ingegnanti un po’ tutti, delinquenti compresi).
Il risultato è che questo genere di segnalazioni sono aumentate negli ultimi anni e il fenomeno si è notevolmente esteso rispetto al 2015 (anno in cui i secondini hanno sollevato le prime denunce). Spesso le consegne coi droni in carcere avvengono di notte, alle volte per coprire il rumore dei dispositivi chi è fuori lancia una serie di fuori d’artificio, il “delivery” può avvenire direttamente in cella (il detenuto recupera la merce sporgendo le braccia dalle grate della sua stanza) oppure in un “punto di ritiro” concordato all’interno dell’istituto.