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Lecce, dimessa con febbre dopo un'operazione: muore per choc settico, clinica condannata

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Dimessa con la febbre dopo un intervento chirurgico e senza una prescrizione della terapia antibiotica necessaria: così è morta una 64enne a Lecce nel 2015. Oggi, dopo nove anni, una clinica privata della città pugliese e un medico in servizio nella stessa struttura sono stati condannati a risarcire i familiari della vittima con quasi 800mila euro

La 64enne è morta il 19 ottobre 2015 dopo uno shock settico, sopraggiunto nel decorso post operatorio all’interno della clinica in cui era stata ricoverata - il 15 giugno sempre dello stesso anno - e dove era stata sottoposta a un intervento chirurgico per una patologia cardiaca. Per i figli e i nipoti, si sarebbe trattato di un caso di malasanità. Di qui la decisione di affidarsi a un legale e di richiedere un risarcimento in sede civile. Che il tribunale ha riconosciuto. I figli della donna hanno spiegato che, nonostante la terapia antibiotica specifica fosse stata avviata solo 5 giorni prima, la madre venne dimessa il 13 luglio 2015 con prescrizione farmacologica per le patologie dalle quali era già affetta (ipertensione arteriosa, cardiopatia ischemica, diabete mellito), senza alcuna indicazione su una terapia antibiotica da seguire dopo l'operazione, e senza alcuna menzione dela febbre registrata durante la degenza. 

 

 

 

Tuttavia, il referto della Tac al torace della 64enne - eseguita giorni prima, il 6 luglio 2015 - faceva intuire che il quadro clinico fosse compromesso: “Esiti di stereotomia mediana. Imbizione dematosa dei tessuti molli pre e retro sternali. Polmone destro e polmone sinistro: falda di versamento pleurico”. I figli nella denuncia hanno riferito che al momento delle dimissioni del 13 luglio 2015 era già possibile sospettare l’insorgenza di una mediastinite. 

Sulla scorta del tenore delle dichiarazioni dei consulenti nominati dalla famiglia - si legge nella sentenza - “si può desumere agevolmente che, alla luce delle condizioni febbricitanti della paziente, le sue dimissioni si dovevano ritenere premature e che, nel caso di specie, sarebbe stato più appropriato un approccio più prudente”. E ancora: "Le responsabilità devono essere ripartite tra la struttura clinica e il medico chiamato in causa. In pari misura”. 

 

 

 

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