Le femministe protestano contro Meloni e per la Palestina. Ma trascurano le donne uccise
Centotré femminicidi dall’inizio dell’anno. I volti si inseguono, i dolori si sovrappongono. E certe storie restano impresse più di altre perché sono la sintesi del male, la moltiplicazione della dannazione, o forse solo perché genitori straordinari portano avanti battaglie che rompono muri e scalfiscono coscienze.
Grondano rabbia le cronache degli ultimi processi. Piangono lacrime i volti lividi di chi resta e assiste inerme alla conta stucchevole. Giulia Cecchettin. Giulia Tramontano. Sofia Castelli... Il 25 novembre ricorre la giornata contro la violenza di genere e dovremmo scendere in piazza per ricordare quei nomi. Tutti in religioso silenzio (o “rumoroso” come lo vorrebbero gli studenti) contro una piaga che ci riporta al medioevo dell’umanità mandando all’aria anni di favole, proclami, convincimenti sul bene che trionfa e la dannazione che è di pochi.
Invece una certa sinistra, assai in voga e furba di questi tempi, è riuscita a infilarsi nei pertugi della cronaca, tramutando cortei, sfilate, manifestazioni per le vittime di violenza nell’ennesima baracconata contro il governo Meloni. Il paradosso è che l’assalto l’hanno dato le femministe di “Non una di meno”. Le signore con la pennetta rossa e il ditino inquisitore eternamente puntato contro i maschi (colpevoli a prescindere in quanto portatori di organi genitali maschili e testosterone) hanno annunciato che scenderanno in piazza lunedì prossimo a Milano per fermare i femminicidi. In realtà per contestare l’unico governo italiano retto da una donna, i fascismi presunti e immaginari che esso incarna nelle loro fantasie, e persino il decreto sicurezza.
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I PUNTI DELLA PROTESTA
Basta leggere il manifesto dell’associazione: un preambolo giusto e doveroso sulla lotta a femminicidi, lesbicidi e transicidi e poi escono i veri obiettivi della protesta: 1)“fermare il genocidio del popolo palestinese, perché non può esserci una libertà per le donne e per le persone queer senza una Palestina libera”; 2) contestare il governo Meloni che “ha dichiarato guerra a tutto ciò che sfida il sistema neoliberista bianco e patriarcale”; 3) fermare “le deportazioni nei lager in Albania” che “sono solo l’inizio” perché “lo stato dimentica le vittime di tratta e violenza, mentre attacca famiglie omogenitoriali, persone queer, corpi non conformi, persone razzializzate”; 4) criticare “il decreto sicurezza perché non accetteremo leggi basate su una visione di sicurezza razzista, sessista e classista” (da quando rendere sicure strade e città nuoce alle donne?).
Nella foga contestatrice finiscono anche le politiche sull’aborto definite “un passo per il mondo ideale dove le donne sono incubatrici della nazione bianca e cristiana”. Mentre si strizza l’occhio “alle altre” (forse le borseggiatrici che ammorbano le nostre metropolitane? si chiede il lettore ignaro) “che vanno in carcere durante la gravidanza”. Quasi un miracolo il cenno alla povera Ahoo Daryaei, la ragazza iraniana che ha sfilato in mutande e reggiseno contro il regime, finendo subito nel dimenticatoio del mondo e delle coscienze. Mentre sa di colpevole e gravissima omissione il silenzio sulle povere ragazze israeliane stuprate e uccise da Hamas e usate contro il nemico come trofei da esibire in un’orrida manifestazione di forza, comando e annichilimento dell’essere femminile. Forse le israeliane stuprate e ammazzate sono meno donne delle palestinesi uccise? Forse è minore il male o la violenza?
“Bruceremo tutto!”, conclude il volantino di Non una di meno. E la lettrice media resta lì, a domandarsi il senso di quel livore. Di quella battaglia. Di quelle parole (una su tutte “il femonazionalismo”). Andiamo, il femminismo è cosa seria. Ma a una ragazza che si affaccia alle faccende del mondo verrebbe da dire: diffida dalle femministe se le femministe sono queste, se per difendere le donne finiscono per danneggiarle. O sbagliare obiettivo. Illuminanti le presidenziali americane. Le democratiche deluse sono arrivate a fare lo sciopero del sesso per contestare Trump e la sua elezione, ignorando che frega a nessuno la loro astinenza salvo ai poveri mariti delusi e frustrati nel silenzio delle loro stanze. E si sono lanciate in accuse e controaccuse alle elettrici medie americane perché non hanno votato Kamala, una donna!, come se diventare presidente della potenza più grande del mondo fosse faccenda di genere e non di programmi, idee e cultura. Insomma, il circo mediatico.
L’accusa alla destra a prescindere. Sia essa Trump. O il governo Meloni (l’unica donna per cui evidentemente non conta l’essere portatrice di utero). E intanto i femminicidi restano. E intanto Giulia, Sofia, i loro sogni, e il loro mondo di giovinezza e bellezza, si perdono nel silenzio.
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