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Genova, capotreno aggredito: l'egiziano accoltellatore non doveva essere qui

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Adriano Talenti
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Resta in carcere Fares Kamel Salem al Shahhat, il 21enne egiziano che lunedì scorso ha accoltellato il capotreno alla stazione di Rivarolo, Genova. La giudice Camilla Repetto nella sua ordinanza in cui conferma l’ordinanza di custodia in penitenziario, fa riferimento a un’altra aggressione da lui mossa contro un uomo, sempre su un treno, un anno fa. Dunque «si tratta di una persona avvezza a questo genere di comportamenti e, quindi, come tale appare pericoloso lasciarlo in libertà perché, con ogni probabilità, potrebbe reiterare la medesima condotta». C’è un altro aspetto preoccupante che emerge dall’accaduto. Fares, noto alle Forze dell’Ordine anche per questioni di stupefacenti, era destinatario di un provvedimento del Questore di Agrigento che gli intimava di lasciare l’Italia.

Provvedimento sospeso perché ha presentato istanza di protezione internazionale. Purtroppo una dinamica molto simile a tante altre accadute nel nostro Paese. Ancora in tema immigrazione, ieri mattina la nave Libra della Marina Militare ha attraccato al porto di Shengjn in Albania con otto irregolari a bordo, sei egiziani e due bengalesi. Si tratta del secondo trasferimento in base al protocollo d’intesa tra Roma e Tirana. I migranti sono stati condotti prima nel centro di accoglienza, dove sono state eseguite delle procedure di verifica e di controlli sanitari. La seconda destinazione come da prassi è il centro di Gjader. Durante l’ulteriore fase di controlli, però, una delle otto persone è stata individuata come vulnerabile per problemi sanitari, dunque la Libra la condurrà a Brindisi.

 

 

L’accordo tra Italia e Albania, i centri e le iniziative giudiziarie sui Paesi sicuri (che hanno portato alla disposizione, del Tribunale di Roma, del ritorno in Italia per i primi 12) continuano ad animare il confronto politico. Con una sinistra sempre all’attacco. Dal Pd, il responsabile delle politiche migratorie Pierfrancesco Majorino punge sui costi. Il centro, accusa, «oltre a essere un laboratorio per la violazione dei diritti umani, in contrasto con le regole europee, è davvero costosissimo. Avevamo infatti ragione quando denunciavamo l’ammontare complessivo di un’operazione che ora rischia di vedere impiegati oltre 800 milioni». Chi invece ha preparato il trolley è il deputato del Movimento 5 Stelle Alfonso Colucci. Da oggi a lunedì, annuncia, «sarò in Albania per visitare i centri» e «prendere diretto contatto con gli operatori impiegati nelle strutture e con i migranti che stamattina sono arrivati con la nave Libra e per documentare, come è dovere dei parlamentari, la realtà dell’operazione Albania».

Il governo, invece, torna sull’aspetto giudiziario del dossier. Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, partecipando al salone della giustizia viene interpellato sul fatto se il governo ricorrerà o meno qualora il Tribunale dovesse pronunciarsi contro i trasferimenti in Albania. «Certamente sì. Abbiamo promesso agli italiani un cambio di passo sull'immigrazione, cambio di passo che ha già avuto esiti importanti con un calo del 60% degli sbarchi e l'aumento dei rimpatri del 30%. Il modello Albania è un modello che ci invidia l’Europa», risponde. E affonda: «Certo non pensavamo di trovare un segmento di magistrati politicizzati che hanno un pregiudizio ideologico politico e una ostilità evidente al progetto dei migranti». Dunque «noi insisteremo, ricorreremo, sicuri che avremo ragione».

Una linea sovrapponibile a quella del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: «I percorsi giudiziari - ha detto parlando ad Ancona a margine del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica - sono lunghi e complessi e ci sono dei giudici che si stanno pronunciando in un certo modo: noi non siamo d'accordo su queste pronunzie, le abbiamo impugnate, faremo altre impugnative se non dovessimo condividere altri provvedimenti e poi si arriverà a un punto in cui ogni processo arriva a un terzo grado finale che stabilirà». Quanto all’individuazione dei Paesi sicuri, aggiunge il titolare del Viminale, l’Egitto lo è «perché è stato previsto dal legislatore, con quel decreto legge che il governo ha approvato qualche settimana ed è fra i Paesi considerati ad oggi sicuri secondo quei parametri che stanno dietro a quel tipo di valutazione».

 

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