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Da Striano fino a Equalize: un romanzo ha anticipato la società degli spioni

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Annalisa Terranova
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Era dai tempi di Gladio-Stay behind, la struttura addestrata per opporsi a un’eventuale invasione sovietica, che gli intrighi degli “spioni” non appassionavano così il dibattito pubblico. Alla sinistra non pare vero di poter accusare il governo di destra di non essere stato in grado di salvaguardare la nostra privacy e quella dei piani alti. Ma lo fa, paradossalmente, dopo avere minimizzato le intrusioni illecite del finanziere Striano e avere sbeffeggiato chi, all’epoca, parlava di dossieraggio. Le spie esistono e non sono neanche più al servizio del potere ma del vil denaro. Quindicimila euro e ti confezionano un dossier in grado di avviare una character assassination. Pare che tali fossero le tariffe di Equalize. La democrazia è davvero in pericolo per tali intrallazzi? Più che altro appare inquinata dai veleni: chi commissiona i dossier? Può essere che la politica spaventata si metta al riparo acquistando carte riservate sugli avversari. Non pare poi così difficile dato il florido mercato che nutre hacker e ficcanaso.

Tutto è troppo trasparente, oggi, per non possedere un lato “occulto”. I ladri di privacy sembrano avere più potere di chi occupa Palazzo Chigi e i ministeri. L’alert risuona gigantesco: non si salva nessuno, o meglio, nessuno pare essere al riparo. Catastrofismo? Mica tanto, visto che uno scenario del genere è stato più volte descritto nei romanzi visionari che hanno segnato il Novecento. Tra questi Eumeswil (1977) di Ernst Jünger occupa di sicuro un posto di primo piano. In quelle pagine compare infatti il Luminar, una sorta di elaboratore dove sono immagazzinate tutte le informazioni sulla storia dell’umanità. Un’intuizione che prefigura l’avvento di internet, ma anche di Google, e più in generale della rete che continuamente rielabora tutto ciò che sfugge dal nostro privato e lo condensa in profili tanto astratti quanto lontani dalla nostra vera identità. Pensieri e parole, sogni e ambizioni.

 

 

Nel romanzo al Luminar ha accesso il protagonista, Martin Venator, per le sue ricerche storiche. È al servizio del tiranno, il Condor, che dalla casbah dove dimora controlla e prevede ogni azione e parola dei sudditi. Tutti spiano tutti perché nessuno ha fiducia in nulla. Romanzo filosofico sulla post-storia, scenario nel quale spicca la figura di colui che non combatte il potere ma neanche lo asseconda accontentandosi di mantenere la propria indipendenza. Venator è l’anarca. Venator è lo stesso Jünger.

Presentando il Luminar al lettore lo scrittore ribadisce che la tecnica non è neutra e pare anticipare i timori odierni sull’intelligenza artificiale: «La tecnica possiede un sottosuolo, sta diventando inquietante per se stessa, si approssima alla realizzazione diretta degli déi come suole avvenire nei sogni, sembra mancare solo un piccolo passo ancora. Così potrebbe saltare fuori qualcosa dal sogno stesso. Come nello specchio una porta non deve più essere mossa, si apre da sé, ogni luogo desiderato è raggiungibile in un attimo, un mondo qualsiasi può essere ricavato dall'etere o come nel Luminar dal sottosuolo. I fatti sono abbastanza remoti e si può dire che non se ne curerebbe più nessuno; nel Luminar tuttavia ho reperito io stesso una sterminata quantità di immagini e di titoli. Come in ogni lavoro la cosa principale con quell'apparecchio è centrare i punti chiave».

Il protagonista di Eumeswil descrive la tirannia come forma del potere non differente dalla democrazia (per lo scrittore la democrazia è come la verità: «È altamente apprezzata ovunque ma dove la si incontra veramente?»). Venator è un puro spettatore, «è per questo che ha scelto il ruolo di barman: ha così il piacere di osservare, e anche disprezzare un po’, tutta quella società di detentori del potere». Venator è il contrario dell’anarchico, non dipende dalla società che osserva perché non intende cambiarla. Eppure Jünger era consapevole che il lavoro dello scrittore è-suo malgrado - sempre politico anche se conta di più l’atmosfera che la denuncia di ciò che è cattivo e che tale resterà sem pre.

La storia è fatta di stratificazioni, infatti, e non di progresso. E benché i giochi di potere siano uno spettacolo deprimente, per noi come per Martin Venator, l’ultracentenario Jünger ci esortava a non disperare, contraddicendo l’estetica della catastrofe che era la cifra del suo narrare: «La gente è sfuggita alla trascendenza, la trascendenza si perde. Ma quando qualcuno conserva ancora questo rapporto con la trascendenza, è in ultima istanza al riparo dall’angoscia. Può dirsi che stanno accadendo cose terribili, ma punta a una grande luce dietro di esse».

 

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