Dossieraggio, il mercato nero dei dati privati può distruggere i pilastri dell'Occidente
Il rischio è ora quello dell’assuefazione, cioè far passare come “normale” e sempre meno “notiziabile” quello che in realtà è un grave vulnus alla nostra democrazia. Lo potremmo definire, con le parole di Giorgia Meloni, “il nostro dossieraggio quotidiano”, ovvero la facilità con la quale politici, persone in vista e anche gente comune viene spiata in barba al rispetto della privacy e per fini illeciti. L’ultimo caso è quello di Milano, ove la Procura ci fa sapere che a carpire con un sistema di hackeraggio «dati e informazioni sensibili e segrete delle banche dati strategiche nazionali» era un’agenzia investigativa privata, la Equalize, che fa capo a Enrico Pazzali, il presidente della Fondazione Fiera Milano, e che fra i suoi socio ha un superpoliziotto in pensione, Carmine Gallo, noto per i colpi assestati nella sua “prima vita” agli affari milanesi della ‘ndrangheta calabrese.
Fra gli indagati ci sono anche clienti eccellenti come Leonardo Maria Del Vecchio, il figlio del fondatore di Luxottica, e il finanziere Matteo Arpe, che avrebbero commissionato ricerche su persone loro nemiche o con cui erano in competizione. Lo schema di questi episodi è sempre lo stesso: una fitta rete di attori, collaboratori e complici, spesso tecnici o funzionari pubblici o provenienti dalla pubblica amministrazione; una estrema perforabilità delle banche dati; la disattenzione (non si capisce fino a che punto complice) di chi dovrebbe vigilare. Se nel caso di Milano a farla da protagonista è l’illecito spionaggio industriale, nei casi precedenti di Perugia, Bari e Roma le personalità “attenzionate” erano soprattutto politici di una determinata parte politica, la destra. È fin troppo facile immaginare, ove non è addirittura già dimostrata, l’esistenza di un fiorente mercato delle informazioni con tanto di procacciatori, ricattatori e più o meno potenziali ricattati. Poichè le banche dati interrogate illegalmente sono sotto la giurisdizione completa dello Stato ed attengono alla sua sicurezza, è lo Stato che deve porsi il problema di garantirne l’impermeabilità assumendolo come priorirario per le stesse sue sorti. A quanto sembra ciò non è avvenuto e banche dati così delicate sono oggi una sorte di colabrodo.
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Certamente, qui non ci troviamo di fronte ad un sistema di sorveglianza e controllo della vita dei cittadini centralizzato e finalizzato ai fini di un regime autocratico e totalitario, come era un tempo per l’Unione Sovietica e per i suoi stati satelliti. Ma il fatto che lo Stato italiano non sia in grado di garantire la privacy dei cittadini, se non da sé stesso almeno dall’azione di malintenzionati, presenti in numero consistente anche nelle proprie fila, e che agiscono per fini personali o di clan, è non meno grave nelle sue conseguenze. Una democrazia sotto ricatto somiglia ad un far west ove a vincere saranno sempre e solo i più forti, chi è in grado di comprarsi informazioni che dovrebbero restare segrete.
C’è poi un discorso più generale che pure va fatto e che concerne tutte le democrazie occidentali, con l’Italia che, come è spesso accaduto in passato, da una parte esaspera tendenze in atto, per la debolezza strutturale del suo sistema amministrativo e di potere, e dall’altra sembra quasi fare da aprista. Il problema, infatti, è forse anche culturale, un segnale inequivocabile della nostra disaffezione per la democrazia e la libertà così come si sono affermate in epoca moderna.
“Invadere” le vite altrui, mettere in mostra il privato altrui e spesso, narcisisticamente e masochisticamente, anche il proprio, significa non rendersi conto di stare destrutturando uno dei pilastri su cui si regge il nostro Occidente liberale: la rigorosa distinzione fra la sfera pubblica e quella privata, fra i comportamenti esteriori e una sfera di riservatezza attinente alle nostre condizioni di salute, economiche, ai nostri gusti personali e al nostro passato che dovrebbero restare “segreti” perché attinenti nostra stessa dignità di esseri umani.
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Con troppa leggerezza si ripete, quasi fosse un dato di fatto che non genera problemi, che oggi il vero capitale è di chi possiede e controlla il più grosso numero di dati personali. Così come con facilità nascono e vengono accreditate discipline come il reputation management (era uno dei campi di azione dell’Equalize) che spostano l’attenzione dai comportamente empirici, verificabili e giudicabili, delle persone a quelli morali, che dovrebbero essere di stretta pertinenza dei romanzieri o dei confessori. Il confine fra lecito e illecito si assottiglia sempre più. Eppure, così come esiste ed è esistito un totalitarismo di Stato, ne può facilmente nascere uno sociale basato sul conformismo e sull’adesione acritica alle “verità morali” affermate da colui che è riuscito a imporre la sua narrazione e a screditare, servendosi di ricatti e delazioni, la reputazione altrui.