Femministe, battaglia "pelosa": partita la campagna anti-depilazione delle ascelle
Quando nella primavera del 1999 Julia Roberts, a trentuno anni, due Golden Globe e una candidatura all’Oscar sul curriculum, si presentò alla prima londinese di Notting Hill, tutti sostennero che avesse fatto un altro passo verso l’autodeterminazione della donna. In un abito rosso tutto lustrini della stilista Vivien Tam, il collo a barchetta e le maniche alla geisha, scese dall’automobile, salutò i fan e rivelò al mondo che non si depilava. E fu scandalo e fu festa, quasi non si parlò del film: aveva rotto un tabù, aveva rivendicato il diritto alla libertà di essere come ci pare, aveva sfidato i canoni della bellezza, aveva violato le norme culturali del patriarcato. Dopo vent’anni, una femminista ha ricordato all’attrice quel gesto e l’ha ringraziata per ciò che aveva significato per le donne. Roberts ha confessato che, in realtà, semplicemente non aveva capito quanto l’abito fosse sbracciato e nell’alzare il braccio ecco che si sarebbero visti i peli. «È che sono una scema», ha detto.
STORIA VECCHIA 60 ANNI
Così, quando due sere fa l’attrice Tecla Insolia si è presentata sul red carpet della Festa del Cinema di Roma per la presentazione del film L’Albero, ha alzato le braccia per salutare i fotografi e ha mostrato un cespuglio di peli neri sotto le ascelle, abbiamo sorriso due volte, il primo era un sorrisetto di compatimento, il secondo amaro.
La storia delle ascelle non depilate è vecchia di sessant’anni, il fenomeno nacque negli anni Sessanta e Settanta, quando le femministe iniziarono a sfidare gli standard di bellezza: in una famosa marcia fuori dal concorso di Miss America del 1968 ad Atlantic City, le manifestanti si tolsero i reggiseni, si sfilarono i tacchi a spillo e, su quell’onda, abbandonarono rasoi e pinzette. L’intento era duplice perché la depilazione, a dire delle attiviste dell’epoca, era opprimente per due ragioni. Manteneva le donne bambine, dicevano, costrette a essere Lolite per sempre e per gli uomini, come se ci fosse qualcosa di sbagliato e sporco nel corpo di una donna adulta. E poi era una questione pratica: il tempo, il denaro e l’energia necessari per depilarsi erano una distrazione non solo dalle battaglie per i diritti delle donne ma anche dalla gestione quotidiana. Da Sophia Loren a Madonna, da Grace Jones a Rachel McAdams, arriviamo al 2019, quando una parrucchiera di Seattle decise di tingersi i peli sotto le ascelle (e tanti cari saluti al tempo risparmiato): erano azzurrini e diventò un caso, e un trend, sui social.
E qui arriva il primo sorriso: un po’ (non molto) viene da chiedersi il motivo per cui i giornali debbano ancora titolare: «La scelta di Tecla Insolia di non depilarsi le ascelle. Perché quando si parla di peli lo si fa in relazione all’empowering femminile» (Cosmopolitan), mentre Repubblica scrive di «un piccolo gesto rivoluzionario. Un forte statement di libertà dagli stereotipi». E ancora: «Tecla Insolia celebra la libertà» (Fanpage). Ultimo, Il Fatto Quotidiano: «Le ascelle pelose di Tecla Insolia fanno scalpore». Inciso: le ascelle fanno schifo. Fanno così schifo che quando passa la pubblicità della Dove ti viene da cambiare canale. Fanno schifo perché in metropolitana ti sembra di avere accanto leoni marini in putrefazione. Fanno schifo e infatti il Signore ce le ha fatte nascoste. Servono solo per fare le pernacchie e se ci provi superati i dieci anni anche i tuoi amici inorridiscono e allontanano la sedia. Quindi le donne scelgono di non depilarsi perché pensano che i peli del corpo siano femminili o nonostante il fatto che non pensino che siano femminili?
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PROTESTE E IPOCRISIE
E qui arriviamo al secondo sorriso, quello amaro: perché dobbiamo ridurre il femminismo ai peli? Quelli che gridano urrà per un’attrice non depilata usano il femminismo come porta girevole: amano brandire cartelli, accigliarsi con vestiti neri (vi ricordate, era il red carpet dei Golden Globe e indossarono tutte il nero per sostenere quella strepitosa barzelletta pubblicitaria che in pochi mesi risultò essere il movimento #MeToo), proclamano slogan, invocano la loro indipendenza nel corpo e nella mente, e poi, a oltre un anno dal pogrom del 7 ottobre non ci sono state ancora piazze che abbiano condannato gli ammazzamenti e gli stupri commessi da Hamas. Eccolo lo slogan delle femministe di oggi: i peli sono nostri e ce li gestiamo noi, a patto che non siano israeliani.
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