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Vino tarocco, il business della banda: a quanto vendevano le bottiglie di pregio

Luca Puccini
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Del Bordeaux (e dello Champagne) avevano a malapena l’etichetta: la quale, però, era contraffatta. Falsa, truccata, tarocca, originale quanto lo può essere una monetina da tre euro. Ricalcata nei minimi dettagli, con tanto di Qr code e “tag” di sicurezza: il vino nella bottiglia, d’accordo, non era quello del super, non era un miscuglio dozzinale di zuccheri aggiunti e coloranti. Veniva, sì, effettivamente dalla Francia, era addirittura di alta qualità e, infatti, se non fosse stato venduto con un nome rubato, una sua collocazione sul mercato probabilmente l’avrebbe trovata, magari non a 15mila euro al pezzo, magari dopo annidi certificazioni e burocrazia, e allora vuoi mettere quanto rende una truffa su scala mondiale?

Sono sei i mandati d’arresto europeo, sedici le perquisizioni e 100mila gli euro, tutti in contanti, bloccati ieri mattina dal Nas, il Nucleo antisofisticazione dei carabinieri, di Torino, assieme ai colleghi dell’Europol, nell’ambito di una maxi inchiesta su un giro di contraffazione e commercializzazione vinicola che potrebbe valere, complessivamente, addirittura due milioni di euro. Vino francese. Smerciato in Italia ma anche a Singapore, a Dubai e nei Paesi baltici e chissà dove altro. Vino importante. Venduto a migliaia di euro la bottiglia.

 

 

Vino ricercato. Destinato a collezionisti, intenditori, ristoratori importanti che potevano permettersi di sborsare cifre significative (e che infinocchiarli non era mica uno scherzo da ragazzi). A capo dell’organizzazione c’era un cittadino russo di 40 anni residente a Desio, nella Brianza lombarda (è tra gli arrestati): nei guai sono finiti, tuttavia, pure quattro tipografi (tra l’altro già noti alle forze dell’ordine italiane) piemontesi, di Bardonecchia, Leinì e Settimo Torinese.

Erano loro, abili, abilissimi, a riprodurre praticamente alla perfezione quelle etichette che poi venivano appiccicate sul vetro delle bottiglie, fascette pressoché identiche, se non per un piccolo particolare, alle “gemelle” autentiche prodotte nelle colline del sud francese, e consegnate al capobanda in luoghi apparentemente insospettabili (come l’aeroporto di Malpensa, a Milano).

Il “piccolo particolare” riguardava i codici di sicurezza: è che sono unici, cambiano da bottiglia a bottiglia, questi “tag” che servono, appunto, per una tracciabilità il più possibile accurata a tutela dei consumatori, e se vengono controllati, anche solo in via precauzionale, anche solo per monitoraggi random, anche solo una volta, generano una sorta di avviso al loro relativo sistema elettronico di garanzia.

È tramite questo meccanismo che in Francia, mesi fa, è partita l’inchiesta sugli eno-falsari d’autore russo-italiani che ha portato, adesso, a un coinvolgimento delle procure torinesi e milanesi, al sequestro di almeno 150 bottiglie e 5mila etichette (oltre al materiale di stampa impiegato dai furbetti del Bordeaux), a perquisizioni operate anche nelle province di Cuneo, Bologna e Roma e all’accusa (per tutti i coinvolti) di associazione per delinquere finalizzata all’introduzione e al commercio nello Stato di prodotti con segni falsi.

È un mercato sterminato quello nero del rosso (e anche del bianco, nonchè del rosè) da tavola. Più che uno scioglilingua cromatico, è un elenco di numeri dati e statistiche che impressionano anzitutto per la loro sistematicità: l’Icqrf, a proposito di acronimi impronunciabili, che è l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari, solo nel 2019 ha condotto più di 18mila (18.179) operazioni nel mondo dei vini, il 30% di quelle messe in campo sul suo intero comparto, collezionando 201 notizie di reato, 2.138 contestazioni amministrative e 585 sequestri ad altrettante cantine.

In vino veritas, ma anche in vino (purtroppo) si rischia la truffa: secondo la Coldiretti la contraffazione enologica dei marchi italiani potrebbe aggirarsi introno ai sei miliardi di euro di fatturato (illegale) all’anno, però vale anche il fenomeno inverso (gli arresti di ieri riguardavano vino francese, dopotutto) e le norme differenti sulla produzione che esistono in altri Paesi (sarebbe sufficiente pensare a quelle sullo zuccheraggio che da noi è vietato) di certo non aiutano.

Va bene, ma allora come ci si difende dai venditori fasulli di bottiglie alla stessa stregua posticce? Perché non siamo tutti sommelier, il palato fino vale fino a un certo punto (soprattutto per le uve di pregio) e le analisi chimiche sono affari da laboratorio, non possiamo di certo farle al super mentre siamo in coda alla cassa. I consigli sono quelli del buonsenso: primo, controllare (e ricontrollare) l’etichetta: se si notano errori, se sembra “diversa” da quella a cui siamo abituati probabilmente lo è (attenzione: negli ultimi periodi i falsari sono diventati assai abili, un modo per individuarli è concentrarsi sulla qualità della stampa o della carta impiegata, cioè sui dettagli).

Secondo, non fidarsi di un prezzo eccessivamente basso (ma qui il discorso è quello di sempre: quando qualcosa è troppo bella per essere vera, nove su dieci non è vera per niente). Terzo, valutare la provenienza e la filiera del prodotto e, in ultimo, il sedimento che i vini rossi più vecchi dovrebbero sempre avere: se manca, è meglio sostituirlo col dubbio.

 

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