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Altro che fascisti, pericoloso è chi spia

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Gianluigi Paragone
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Dopo anni di fascio-isterie, di dibattiti e talk sul pericolo nero, di allarmi e inchieste sulla deriva autoritaria, ecco che il vero pericolo per la democrazia si sta consumando sotto gli occhi (bendati) di moltissimi. Se c’era e se c’è un pericolo reale è legato agli spioni, agli hacker, ai servitori infedeli dello Stato, ma anche a quelli fedeli a certe procure che non si sono mai poste il limite di entrare nelle vite degli altri magari capendo Roma per toma. Nel giro di poche settimane ci siamo ritrovati a fare i conti con un ex finanziere che ha praticato allegramente migliaia di accessi nelle banche dati della Direzione nazionale antimafia, sotto l’occhio di procuratori più o meno informati. Poi con un genio della matematica col vizietto di hackerare dati sensibili e informazioni da sistemi giudiziari e sanitari, usando le password di un magistrato, un genietto beccato con le mani nel sacco solo perché ogni tanto sbirciava sui siti porno. E infine un banchiere morboso che, sempre illegalmente, è entrato nei profili bancari di 3500 clienti, tra vip e cittadini comuni, annotando movimenti e situazioni patrimoniali. Per ognuna di queste storie le domande sono essenzialmente due: come hanno fatto e perché lo hanno fatto. Come hanno fatto è semplice: la nostra rete è un colabrodo e per bucarla, a quanto pare, basta essere poco più che buoni smanettatori informatici. Chi conosce il mondo sommerso del web non fa fatica a rivelare che ogni giorno avvengono migliaia d incursioni di questo genere, al fine di ottenere il riscatto e quindi il rilascio dei dati prelevati illegalmente. Nel caso del banchiere morboso l’accesso è stato meno complicato ma c’è voluta una particolare circostanza per scoprire il bubbone.

PERCHÉ LO FANNO
Seconda domanda: perché lo fanno? In attesa di capire cosa abbia mosso l’uomo di Intesa (davvero dobbiamo berci che fosse solo una intensa morbosità?), negli altri due casi si apre un mondo oscuro legato al traffico di informazioni, non per forza di tipo mercantile nel senso che disporre di informazioni sensibili accresce un potere enorme. La cosa che, come dicevo in apertura, sorprende è l’atteggiamento soft che si avverte verso vicende di una gravità inaudita. Ci siamo dovuti sorbire giornate intere di lamenti vittimistici da parte di scrittori e pensatori resistenti, censurati dal potere dei nuovi fascisti, dai nuovi padroni del vapore e compagnia varia, e poi- quando davvero la democrazia subisce ferite profonde - ecco che l’allarme diventa un “sì, va beh...”. Non c’è alcun pericolo fascista, c’è invece un mondo di ricattatori che ruba le vite degli altri quasi fosse una bischerata.

INTERCETTAZIONI
Che razza di democrazia è quella dove è possibile intrufolarsi nelle vite altrui, rovesciarle con intercettazioni, spiattellarle e- in caso di errori giudiziari (sempre più frequenti) - lasciare la pratica allo Stato per un eventuale risarcimento del danno. Che razza di democrazia è quella dove si può spiare nelle banche dati della direzione nazionale antimafia in maniera arbitraria. E dove disturbi se poni domande sul sistema di protezione. E, infine, che razza di democrazia è quella dove chi esercita un potere non ha uno schermo di protezione e se poni la questione ti senti dire che vuoi difendere la Casta. Intercettare o controllare dati riservati non può diventare una regola, tantomeno in nome di un giornalismo che rischia di intrecciare cattive relazioni.

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