Stefania si dimette da infermiera a 50 anni: "Basta, cos'è successo dopo il Covid"
Gli "eroi del Covid" sono diventati nemici da insultare, incolpare, anche picchiare. Mentre si succedono le notizie sconcertanti su interi reparti, dai Pronto soccorso all'Oncologia, presi d'assalto dai parenti di pazienti morti che cercano vendetta contro i medici che non sono riusciti a salvarli, fa rumore la decisione di Stefania Malimpensa di dimettesi dopo 23 anni trascorsi "in trincea", da infermiera. E tutto, accusa in una toccante intervista al Corriere della Sera, è cambiato in peggio proprio dopo l'incubo della pandemia.
"Lascerò quello che è stato il sogno dei miei 20 anni ma una gran parte di me rimarrà per sempre lì, nel mio Pronto Soccorso", spiega amareggiata la 50enne di Este. Troppo stress, troppa frustrazione, troppa delusione sia per le condizioni di lavoro, sia per la paga sia per la "percezione" del ruolo suo e dei colleghi nell'immaginario collettivo.
Stefania lavora a Schiavonia, in provincia di Padova: "Ora sono in ferie, rientro domenica notte e sono contenta. Sono sempre andata volentieri al lavoro, amo il Pronto Soccorso e poi il nostro è un gruppo molto affiatato, con i colleghi ci vediamo anche fuori dall’ospedale. Ma non ne posso più, non sono disposta a continuare a lavorare con questi ritmi". Dal 15 novembre andrà in ferie e poi dal 31 marzo prossimo deciderà cosa fare.
"So che è una scelta un po’ azzardata a 50 anni - spiega - ma i carichi di lavoro sono aumentati in modo esponenziale, così come i codici rossi, legati all’invecchiamento della popolazione e molto complessi da gestire. Per contro il personale continua a ridursi, anche per le tante dimissioni negli anni. Al Pronto Soccorso di Schiavonia siamo gli stessi del 2014: 54, invece dei 64 stabiliti come contingenti minimi. Io lavoro al Triage e se, dalle 21 alle 3 del mattino, qualche rara volta riesco a bere un caffè è già molto, gli ingressi sono continui".
Decisivo, però, è stato forse un altro fattore: "L'escalation di aggressioni fisiche e verbali: utenti e parenti ci offendono, dicono che non facciamo niente, ci minacciano, ci insultano a causa delle lunghe attese. Alcuni colleghi sono stati presi per il collo, a calci, a pugni. E non c’è tutela", con un unica guardia giurata in servizio per tutta la notte.
"Lo stipendio medio di un infermiere è di 1.500 euro - sottolinea -, io con le indennità del Pronto Soccorso e l’anzianità arrivo a 2.000-2.100". E poi c'è il Covid: "Io c’ero quando Schiavonia è stato chiuso dopo i primi due contagi e trasformato in Covid Hospital. La gente ci faceva sentire l’importanza della nostra professione, riconosceva l’impegno. Dopo dieci ore bardati con la tuta protettiva andare in spogliatoio e trovare l’ingresso pieno di fiori, oppure dolci, pasticcini, biglietti, ti faceva commuovere". Oggi, però, "da eroi e angeli siamo diventati untori e assassini".