Salento, delfini bucano le reti e si divorano le triglie: pescatori in ginocchio
Delfino curioso. E un po’ furbetto. E pure in buona compagnia. Ché i delfini - guardali lì con quello sguardo bonaccione - siano animali intelligenti è fuori di dubbio. Ma alle volte lo sono un pochino troppo: svegli, perspicaci, pinne leste. Nel senso che a Porto Cesareo, nel Leccese, stanno mettendo in crisi i pescatori. Tu li vedi, sinuosi, che entrano in acqua ad arco, s’immergono di testa, e ti viene in mente Flipper, la serie tivù degli anni Sessanta. Per loro, per gli uomini di mare pugliesi, la situazione è diversa.
È che in duecento non ne possono più, hanno scritto una lettera alla Regione chiedendo al governatore dem Michele Emiliano un tavolo tecnico per affrontare il problema (che problema è) e, da giorni, si sono messi in sciopero. Niente uscite al largo, niente barche fuori di notte, niente di niente comprese le pescherie che, appunto, sono vuote. Passo indietro: le iniziative sono state, in passato, tante, tutte giustissime, non solo a Porto Cesareo, per salvaguardare una specie che fa simpatia anche solo a nominarla. Tra l’altro, in quello specchio di Ionio, fino a non molto tempo fa si usavano le reti “ferrettate e spadate” per catturare i pescispada e i tonni rossi alalunga: oggi, questa strumentazione è illegale e il risultato è che prima, gli intelligenti delfini, sguazzavano altrove, adesso importa loro zero.
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E infatti anche i pescatori lo ammettono: «Siamo sempre stati in prima linea per sperimentare ogni forma» di tutela, «e promuovere la pesca sostenibile. Ma adesso siamo molti preoccupati». A Porto Cesareo, fino a qualche annetto fa, spinnettava una solitaria famiglia di delfini, dal mese scorso gli esemplari presenti sono duplicati. Bellissima notizia (per gli animalisti). Meno per chi, di quelle acque, ci campa. Sì, perché i delfini di Porto Cesareo sono ghiottissimi di triglie e quelle delle Ionio, lì, reggono un’economia che non è uno scherzo. Sono rinomate, sono pregiate, solo che oramai sono anche il pasto preferito dei cetacei che, per cibarsi, non guardano in faccia a nessuno.
Peggio: brillanti come pochi altri animali, dilaniano le reti dei pescatori pur di banchettare in fondo al mar. Il risultato è che i diretti interessati, ossia proprio i pescatori, di guai ne subiscono due: il primo è che il pescato (quindi il guadagno) da un mese a questa parte è sempre più scarso, il secondo è che corrono financo il rischio di rientrare in porto non con le reti vuote, ma con le reti a brandelli. Rotte, mangiucchiate, strappate. E non importa quanto in profondità le calino, i delfini riescono a gabbarli anche a sessanta metri sotto. «Si dispongono sopra col muso, che è molto lungo, prendono ogni genere di pesci disdegnando soltanto gli scorfani (fanno pure gli schizzinosi, ve’ che tipetti: ndr) e tirano verso l’alto. A volte la preda viene via con poco danno, ma altre volte lasciano squarci anche di due o tre metri.
Se usciamo a triglie in quindici, ognuno di noi ha addosso una famiglia di delfini» (a parlare è Pasquale De Braco, pescatore di professione, ma a lanciare una sorta di sos alle autorità regionale è la cooperativa Pescatori dello Ionio). Le reti che oggi si utilizzano vengono adagiate sul fondo, si chiamano “da posta” e si possono estendere anche per chilometri. «E persinoi dissuasori che ci ha fornito la Regione non servono a nulla». Per qualche giorno han pure funzionato, ma «sempre a causa dell’intelligenza dei delfini sembra che» ora «fungano da richiamo. Avvertono il dissuasore e capiscono che sta arrivando il cibo». Un “delfino di Palvov” involontario, insom ma. «Il nostro reddito ne sta risentendo gravemente», spiega, ancora, il collega Antonio Settimo Colelli. Anche perché poi, sembra una bazzecola, ma le reti vanno aggiustate, e ci vuole una mano esperta, e ci vuole tempo, e ci vogliono soldi per il materiale, per i fili, per l’attrezzatura. A costo zero, al dì d’oggi, c’è niente e, di questo passo, se ne vanno anche cento euro al giorno.
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