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Emanuela Orlandi, ombra comunista: "Rapita dagli 007 della Stasi"

Marco Respinti
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Una foto vintage troppo pixelata, la fascetta nera sulla fronte, un sorriso semplice abbozzato. La conoscono tutti Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia. Scomparve il 22 maggio 1983 e il suo destino è la danza tetra dei “secondo me”.

La Banda della Magliana, killer seriali, mucchi immancabili di soldi, faccendieri (che è come ce la si sbriga quando non si sa che pesci pigliare) e pedofili per l’ovvia regia di certi monsignoroni vaticani. No. Emanuela, 15 anni, fu rapita e ammazzata dalla Stasi, il ministero per la sicurezza dello Stato della Repubblica Democratica (che ridere) Tedesca, ovvero il servizio di spionaggio e operazioni laide forse più formidabile di sempre che faceva della Germania comunista il microfono, il cannocchiale e il pugnale puntati contro l’Occidente. Lo afferma da sempre Ilario Martella, che oggi documenta tutto nel libro Emanuela Orlandi, intrigo internazionale (Ponte alle Grazie, Milano, pp. 192). Il titolo sembra Alfred Hitchcock e invece viene dalle parole che Papa san Giovanni Paolo II disse alla famiglia Orlandi il 24 dicembre 1983: «Un caso di terrorismo internazionale».

 

 

 

Pugliese classe 1934 di Corsano nel Leccese, magistrato dal 1965, sostituto procuratore della Repubblica di Roma dal 1973 al 1978, giudice istruttore nel tribunale di Roma dal 1978 al 1990, esperto di terrorismo, criminalità organizzata, sequestri di persona e reati contro la pubblica amministrazione, Martella si è occupato dell’attentato al Pontefice, è stato il destinatario delle prime rivelazioni dell’attentatore, il terrorista turco, poi ergastolano, Mehmet Ali Agca, e già scrisse un libro nel 2011, 13 maggio ’81: tre spari contro il Papa (Ponte alle Grazie). Con il libro nuovo chiude il cerchio, forte della documentazione disponibile da quando la caduta del comunismo all’Est ha aperto molti archivi: il caso Orlandi è un’appendice dell’attentato al Papa polacco e così pure il rapimento, poco prima, il 17 maggio 1983, di un’altra 15enne romana, Mirella Gregori.

Lettere anonime spesso farneticanti proponevano la liberazione di Agca contro le vite di Emanuela e Mirella, ma le ragazze, dice Martella, furono in realtà ammazzate subito. Troppo ingombranti anche per chi ne aveva disposto il sequestro: il ministro della Sicurezza dello Stato della Germania Est, Erich Mielke, da cui dipendeva la Stasi, dopo l’accordo raggiunto con il ministro degli Interni della Bulgaria, Dimitar Stojanov.

LA PISTA BULGARA

Perché? Perché nel maggio 1982 Agca cominciò a rivelare proprio al giudice Martella, nel carcere di Ascoli, l’esistenza della «pista bulgara», cioè le responsabilità di Sofia nell’attentato al Papa, su ordine di Mosca. Antefatto. Karol Wojtyła, eletto a sorpresa nel 1978, dava fastidio. Conosceva il comunismo, sapeva come usare ora il bastone ora la carota, e sapeva farsi insidioso. A Roma, a capo della Chiesa Cattolica, mentre l’Occidente di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher aveva finalmente deciso che con l’Unione Sovietica la partita si potesse e si dovesse vincere, per i regimi dell’Est quell’uomo inatteso fu un incubo. Andava elimi nato. E però ora le rivelazioni di Agca guastavano tutto, e i mandati contro i primi bulgari pure. Non solo il Papa era ancora vivo, ma lo status quo fra Est e Ovest che accreditava oramai definitivamente Mosca e a cui Mosca non intendeva rinunciare rischiava di saltare, se le trame bulgare e la regia sovietica del tentativo di ammazzare nientemeno che un Pontefice fossero state rivelate. Fu così che i bulgari impauriti chiesero aiuto ai professionisti tedeschi.

VITTIME INNOCENTI

Di mezzo ci andarono le povere Emanuela e Mirella, che con l’impero del male non c’entravano, ma la cui morte servì a distrarre tutti. Da decenni inquirenti, giudici e opinion maker inseguono infatti ombre mentre tutto era già contenuto, dice Martella, nell’archivio della Stasi acquisito nel 1997 nell’ambito della terza inchiesta sull’attentato al Papa di cui il giudice Rosario Priore era titolare, ma di cui nessuno si è accorto. Come e perché sia potuto accadere è la domanda con cui il libro di Martella, ricco e inquietante, si conclude, non senza appellarsi pure a Papa Francesco affinché si adoperi, per quel che gli consta, per diffondere quella verità che a volerla vedere è sotto gli occhi. Sia il Vaticano sia la Commissione bicamerale di indagine istituita dal parlamento italiano hanno riaperto il caso Orlandi-Gregori. L’occasione per chiudere almeno questa partita con gli orrori comunisti c’è, e pure un buon libro.

 

 

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