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Paderno e Sharon, segnali evidenti e quelli impensabili: due storie diverse

Alessandro Dell'Orto
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Quattro morti accoltellati, due folli aggressioni senza movente e i killer che non sanno dare una spiegazione alla rabbia, alla furia omicida, al disagio che li ha portati a uccidere. Tra Riccardo e Moussa - il ragazzino 17enne che sabato notte ha sterminato la famiglia (mamma, papà e fratellino di 12 anni) a Paderno Dugnano e il 31enne di origini maliane che un mese fa ha ammazzato Sharon a Terno d’Isola -, però, c’è una sostanziale differenza. E cioè che il secondo poteva essere fermato, il primo no. E qualcuno dovrebbe sentirsi responsabile. Riccardo- malgrado quando dicono illustri psichiatri (Crepet: «C’erano per forza dei segnali». E grazie, facile dirlo adesso) - ha covato l’odio dentro, nascondendolo, e infatti nessuno tra parenti, vicini («Era la famiglia del Mulino Bianco») o amici («È un ragazzo tranquillo, sveglio, a posto. Fa sport. L’ultima persona da cui ti aspetti che possa fare del male) racconta di particolari atteggiamenti sospetti, di strani cambiamenti. Anzi, il 17enne, figlio di una famiglia benestante, viene descritto come un mezzo genio (ha partecipato alle finali nazionali dei giochi di matematica alla Bocconi, la madre lo chiamava «Il mio Einstein») e un bravo ragazzo (doveva iniziare la quinta liceo scientifico e giocava nell’Under 19 di una squadra di pallavolo). La sola cosa che lui riesce a dire adesso, a tragedia compiuta, è che «Non c’è un vero motivo per cui ho ucciso. Mi sentivo un corpo estraneo nella mia famiglia. Oppresso. Ho pensato che uccidendoli tutti mi sarei liberato da questo disagio. Ci pensavo da un po’, era una cosa che covavo».

Riccardo però teneva tutto dentro e non ne aveva mai parlato con nessuno, non aveva dato alcun segnale preoccupante: questa sua follia omicida era imprevedibile. Per Moussa Sangare, invece, è esattamente l’opposto. Anche lui ora, in carcere, sostiene di non sapere perché ha ammazzato Sharon («Qualcosa mi ha spinto a fare del male. Ho agito senza motivo»), mala sua pericolosità era evidente da tempo. A raccontarlo è chi lo conosceva bene, come Simone, 25 anni, amico da sempre. «Da quando era tornato dall’Inghilterra era un’altra persona e ce ne siamo accorti subito. I suoi occhi non erano più gli stessi, non era lucido e faceva continuamente discorsi strani. A trasformarlo credo sia stata la droga, là avrà conosciuto qualcuno di sbagliato e si è rovinato». Già, il 31enne ha iniziato a sentire strane voci e avere allucinazioni. Da quel maledetto viaggio a Londra è tornato un altro Moussa: non più il simpatico cantante affabile e ben voluto da tutti, ma una persona stralunata, stravagante. E violenta. L’hanno spiegato i vicini di casa («Non aveva buoni rapporti con la madre, li si sentiva litigare tanto, anche alle tre e alle quattro di notte»; «Quattro o cinque mesi fa aveva dato fuoco alla casa, si faceva qua, si faceva in piazza. Avevo l’intuizione che prima o poi sarebbe successo qualcosa»), ma soprattutto Aka, la sorella. «È stata un’escalation - ha raccontato - Io e mia madre Kadiatou abbiamo fatto di tutto per aiutarlo... Forse se ci avessero ascoltate Sharon sarebbe ancora viva. Ho avuto paura di morire anche io, mio fratello ha tentato di uccidermi». La mamma e la sorella di Moussa avevano denunciato tre volte il ragazzo per violenze: «La prima nel 2023, l’ultima a maggio. Danneggiamenti, violenza domestica, maltrattamenti. Eravamo in pericolo. Nessuno si è mosso. Sia io sia il mio avvocato abbiamo scritto al sindaco, agli assistenti sociali. I segnali c’erano tutti. Volevamo aiutarlo a liberarsi dalla dipendenza.

 

 


Ci abbiamo provato: hanno detto che doveva essere lui a presentarsi volontariamente. Non lo ha fatto». E ancora. «Dopo il suo ritorno dall’estero, nel 2019 Moussa ci ha detto che aveva fatto uso di droghe sintetiche. Non era più lui. Per qualche anno abbiamo tentato di contenerlo. Nel 2023, ad aprile, mia mamma ha avuto un ictus. La situazione è degenerata: quella notte ha tentato di buttare giù la porta. Voleva i soldi. Tre mesi dopo ha aperto il gas, incendiando la cucina. A novembre mi ha minacciato con parole pesanti. Mi ha detto “Ti ammazzo”, mi ha gettato oggetti addosso. Abbiamo chiesto aiuto ai servizi sociali e al sindaco. Siamo state lasciate sole. Il 9 maggio scorso mi ha puntato contro un coltello, prendendomi alle spalle. È scattato il codice rosso e il suo allontanamento. Forse un accertamento sanitario andava richiesto. Nessuno si è presentato, nessuno ha controllato». Parole pesanti che testimoniano una situazione ben chiara e conosciuta. Se per Riccardo nessuno immaginava, di Moussa tutti sapevano. Ma non l’hanno aiutato. Non l’hanno fermato.

 

 

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