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Sharon Verzeni, se l'uomo bianco non c'entra le femministe restano in vacanza

Daniele Dell'Orco
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Dicasi fenomenologia la pregiatissima dote di analizzare il modo in cui si manifesta un fenomeno. Un fenomeno, piccola postilla, reale. Oggi viviamo invece al tempo in cui prima un fenomeno si crea, e poi si prende in esame.

Il fanatismo femminista, ad esempio, si basa su due capisaldi: il patriarcato come genesi di qualsiasi oppressione contro le donne e il femminicidio come ultima affermazione del primato del maschio. Queste colonne portanti si scontrano però fra loro, immediatamente, poiché il primo assunto è assoluto, il secondo è relativo. Basti pensare alla macabra conta dei femminicidi annuale che i movimenti rosa-talebano rimproverano al Ministero dell’Interno di non tenere. Loro, che invece la lista la stilano, basano il calcolo estrapolando dal totale degli omicidi prima i casi in cui la vittima è donna e poi stornando da questi ultimi tutti gli scenari privi di contesto relazionale tra oppresso e oppressore. Solo ciò che resta una volta caduti tutti i petali della margherita merita di rientrare nella categoria del “femminicidio”.

 

 

 

Ecco, siccome il caso di Sharon Verzeni non possiede tutti i crismi e non torna ideologicamente utile, è lecito spazzarlo come polvere sotto al tappeto. La disparità di trattamento con due tra i più efferati assassinii dello scorso anno, quelli di Giulia Cecchettin e di Giulia Tramontano, è impietosa. Sgradevole. All’epoca, per giorni, tutti i media, i sociologi, i politici (anzi, le politiche) rilanciarono il teorema della responsabilità collettiva. I boia, Filippo Turetta e Alessandro Impagnatiello, non erano dei disagiati criminali bensì l’espressione di un male congenito insito in ogni maschio, bianco ed eterosessuale.

Le ordofemministe di “Non una di meno” riempirono le piazze di mezza Italia. Decine di migliaia di ragazze condivisero i versi di Cristina Torre Cáceres, ripresi anche dalla sorella della povera Giulia, Elena Cecchettin: «Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto». Contestualmente, venne pretesa una pubblica ammenda da parte di ogni padre, marito, fidanzato, uomo d’Italia. Per cosa? Per il solo fatto di avere un cromosoma Y. Più di qualcuno a sinistra accettò, e di buon grado persino. Ché sul senso di colpa hanno fondato un’intera religione laica: il wokeismo.

 

 

 

Ora, chissà se all’epoca rispose all’appello pure Moussa Sangare, l’italiano di seconda generazione che il cromosoma Y ce l’ha eccome. Ed è un misogino sanguinario che la sua furia ha scelto di sfogarla non su una persona a caso, ma su una donna a caso. Che è ben diverso.

Dice Roberta Bruzzone, nota criminologa: «Sangare aveva già manifestato intenzioni aggressive nei confronti di due ragazzi minorenni, per sua stessa ammissione, ma poi aveva desistito, probabilmente perché si era reso conto che sarebbe stato complicato avere la meglio su entrambi». Ancora prima, hanno rivelato gli inquirenti, aveva “puntato” un soggetto maschio, senza però mostrarsi realmente aggressivo nei suoi confronti. In casa, invece, la cresta l’aveva mostrata eccome, sia con la madre che con la sorella. Il delitto Verzeni quindi è un “femminicidio”, per definizione, se ne esistesse una chiara e non-ideologica.

Ma allora perché per Sharon i versi-slogan di Torre Cáceres non li rilancia nessuno? Perché “Non una di meno” fa finta che non sia stata uccisa una donna di più? Perché i media confinano l’assassinio a pagina 15? Perché Laura Boldrini & Co., che in questi giorni sono intente ad occuparsi delle donne oppresse, ma in Afghanistan, tacciono? Perché i sociologi piuttosto che inventarsi una fenomenologia non ne analizzano una che c’è già?

 

 

 

Ecco un suggerimento: negli Stati Uniti viene da tempo studiato il fenomeno degli Incels, i cosiddetti “celibi involontari”. Oltre alle branche delle scienze umane, hanno iniziato ad occuparsene anche le autorità, come il National Threat Assessment Center. Quelli, in sostanza, che si occupano di minacce alla sicurezza nazionale. Questi “celibi involontari” sono uomini (certi uomini, non tutti gli uomini) incapaci di rapporti sociali sani con le donne, spesso con ideologie misogine e sociopatie varie. Si aggiunga nel caso di migranti (certi migranti, non tutti i migranti), con una chiara incapacità di integrazione. Costoro, che col passare del tempo radicalizzano le i loro impulsi di nascosto, né più né meno rispetto a un integralista islamico, finiscono per sfogare i loro beceri istinti su qualche malcapitata. Sono “mele marce”, come Turetta e Impagnatiello. Ma pure come Moussa Sangare, Adam Kabobo, Innocent Oseghale, Mamadou Kamara, Mamadou Gara, Brian Minthe etc. Tutti Incels che non saranno certo resi più umani da un passaporto. E con un’altra cosa in comune: le loro vittime, che devono essere tutte piante © RIPRODUZIONE RISERVATA allo stesso modo.

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