Sharon, "Sangare pazzo": imbarazzo rosso e psico-soccorso al killer
Il miglior avvocato di Moussa Sangare, attualmente, è il signor silenzio. Non certo il suo, ché ieri l’altro, mentre confessava il brutale assassinio di Sharon Verzeni ha specificato candidamente: «Non so spiegare perché sia successo, l’ho vista e l’ho uccisa».
Il silenzio, semmai, è quello dei perbenisti che nelle ore successive all’ammissione di colpa non hanno trovato niente di meglio da fare che buttarla in politichese commentando i tweet degli avversari politici. Costoro, di fronte a un femminicidio bello e buono, faticano addirittura a definirlo tale. Perché dietro questo concetto tanto caro ai progressisti, che ne tengono anche il conto annuale, non si nasconde un reale fattore cromosomico bensì un teorema ideologico: è femminicidio solo se a colpire una donna a morte è un marito, un fidanzato, un sadico respinto. Soprattutto, italiano.
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LE MANCATE PROTESTE DI PIAZZA
In quel caso, diventa facile ritrovarsi in piazza i cortei di femministe, le prese di posizione che tendono ad attribuire responsabilità collettiva ad ogni uomo, stupratore congenito, i sondaggi social che chiedono alle teenager se preferiscono incrociare in un bosco un maschio o un orso. Basti pensare alle mobilitazioni di massa all’indomani degli assassini delle povere Giulia Cecchettin e Giulia Tramontano, vessate da due orchi travestiti da ragazzi per bene. Nessuno, allora, si sognò anche solo lontanamente di invocare l’infermità mentale per Filippo Turetta e Alessandro Impagnatiello.
Non sono mostri, sono “figli del patriarcato”, e quindi mostruosamente normali. Stavolta le talebane rosa di Non una di meno, per dire, la notizia della confessione di Moussa Sangare non la riportano nemmeno; le grandi paladine del femminismo politico come Laura Boldrini sorvolano concentrandosi sulle donne dell’Afghanistan; i giornali progressisti provano addirittura a far passare l’italiano di seconda generazione come un brigante gentiluomo, titolando col virgolettato delle scuse addotte mentre colpiva a morte la barista di Terno d’Isola anziché sulla disperazione di quest’ultima. Altri, ancora, ricorrono alla psicanalisi raffinata e alla mitologia greca per dipingere Sangare affetto dalla «sindrome del mito di Erostrato, anonimo pastore che incendiò il Tempio di Artemide a Efeso, spinto dalla speranza di diventare famoso. Non sopportava che chi aveva costruito una delle sette meraviglie del mondo fosse importante e lui no». In piazza, però, non è sceso nessuno.
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Dietro a questi giochi di prestigio politico-mediatici c’è la volontà di far passare l’indignazione generale prima possibile per poi ricominciare a caricare a testa bassa sulla necessità di introdurre Ius soli, Ius scholae e qualsiasi altra legge possa regalare passaporti. Perché, se tutti i criminali diventano italiani, allora tutti sono colpevoli allo stesso modo e i problemi connessi alla gestione dell’immigrazione si risolvono da soli.
I primi a respingere la teoria del “raptus improvviso” però sono proprio i familiari di Sharon: «Ne ho sentito parlare in queste ore - dice il loro avvocato Luigi Scudieri -. Tuttavia faccio notare che il signor Moussa Sangare sarebbe uscito di casa con ben quattro coltelli e prima di uccidere Sharon ha avuto tutto il tempo di minacciare anche altre due persone.
Queste farebbero bene a farsi avanti. Mi ha molto stupito che si sia parlato di “verosimile incapacità” subito dopo il fermo, prima ancora di un esame completo di tutti gli atti». E gli esperti, quelli a cui la sinistra si appella solo quando fa comodo, sostengono lo stesso: «Non emergono al momento elementi indicativi di una patologia mentale per l’assassino», scrive in una nota il presidente della Società Italiana di Psichiatria (Sip), Liliana Dell’Osso.
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Traduce tutto in politichese Matteo Salvini, che sui social scrive: «Non fatelo passare per “matto”, questo è solo un crudele assassino che merita il carcere a vita». A fargli eco Alfredo Antoniozzi, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera: «Non sappiamo ancora bene la dinamica dei fatti ma questa cosa del raptus non ha alcun senso e non esiste nella psicopatologia forense».
Alla sinistra tutto ciò non interessa, e dopo le accuse di «sciacallaggio» mosse in coro da Pd, Avs, + Europa e Italia Viva contro Salvini e il centrodestra, continua a tenere dritta la barra della strumentalizzazione. Semplicemente, spostando il fuoco sui teste-chiave del caso Verzeni: «Salvini è una persona disonesta intellettualmente. non dice una parola sul fatto che i giovani testimoni che hanno fornito una descrizione dettagliata di Moussa Sangare la notte dell’omicidio, fossero giovani italiani di origine marocchina. Hanno avuto la cittadinanza da ragazzini, a quindici anni», scrive su X il presidente dei deputati renziani: Davide Faraone.
BEATIFICAZIONE DEI TESTE
Non potendo più usare l’assassino, che speravano essere il compagno di Sharon, Sergio Ruocco, lo schema è diventato la beatificazione dei due testimoni. Repubblica li racconta così: «Io mi sto allenando per il titolo italiano di kickboxing, lui gioca a calcio in prima categoria. Quella sera eravamo a Chignolo vicino alla farmacia e davanti al cimitero dove ci siamo fermati per fare delle flessioni. A quel punto sono passati due nordafricani in bicicletta, poi un terzo. Lui ci è rimasto impresso, perché era un po’ strano. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Abbiamo raccontato di quel ragazzo in caserma. Ci hanno fatto anche i complimenti perché ci ricordavamo tutto. Ora ci sentiamo orgogliosi per essere stati utili. Abbiamo avuto la cittadinanza da ragazzini, a 15 anni. Se il killer è di origini straniere, lo siamo anche noi. Forse senza la nostra testimonianza sarebbe libero. Pensiamo di aver fatto il nostro dovere». Ricapitolando: il cattivo è “italiano” e “matto”, i buoni due esempi di integrazione. Una ragazza innocente è rimasta vittima della retorica. Ma il can can può ricominciare.