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Sharon e i tre femminicidi irrisolti: adesso Bergamo ha paura

Alessandro Dell'Orto
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Turbati e preoccupati dal misterioso omicidio di Sharon Verzeni - la ragazza di 33 anni ammazzata lo scorso 30 luglio con quattro coltellate per strada, in piena notte a pochi metri da casa, a Terno d’Isola -, i bergamaschi si guardano indietro e si interrogano. Quest’ultima terribile tragedia è un fatto isolato? O c’è qualcosa di più che minaccia un’apparente tranquilla provincia dedita al lavoro ed esaltata dalle imprese sportive dell’Atalanta? Il sospetto- per chi corre veloce con i ricordi e dà un po’ spazio alla fantasia - è che la mano che ha tolto con inspiegabile violenza la vita alla barista possa aver agito anche in passato. Sì, insomma, l’ombra di un serial killer. D’altronde, mettendo di fila i casi di femminicidi irrisolti degli ultimi anni è inevitabile avere qualche dubbio. Già, perché prima di Sharon, più o meno con le stesse modalità e nell’arco di soli 17 chilometri, nel 2016 sono state accoltellate e uccise Gianna e Daniela senza che venisse trovato un colpevole. Ipotesi, scenari, strane teorie: gli investigatori hanno sempre scartato collegamenti tra i delitti, ma sono tanti gli aspetti che li accomunano.

L’UOMO INCAPPUCCIATO
Nella notte tra il 26 e il 27 agosto (poco dopo mezzanotte, proprio come per Sharon) di otto anni fa, a Seriate (comune a 5 km da Bergamo), è stata trovata morta Gianna De Gaudio, 63 anni, insegnante in pensione: aveva la gola tagliata ed era nella villetta in cui viveva con il marito Antonio Tizzani, ex capostazione. L’uomo, primo e unico sospettato, ha sempre riferito di aver visto, rientrando dal giardino, qualcuno incappucciato, con una felpa nera («Aveva i baffetti biondi e portava gli occhiali»), che rovistava in cucina nella borsetta della moglie, già a terra in una pozza di sangue. E di non aver sentito niente (aspetto confermato anche dai vicini) perché- come poi è stato dimostrato - Gianna, così come Sharon, è stata colta di sorpresa, alle spalle, e non ha avuto il tempo né la forza di gridare. Spiegazioni, queste, che però non hanno impedito a Tizzani di andare a processo, anche perché due mesi dopo il delitto, in una siepe vicino all’abitazione, è stata ritrovata l’arma del delitto: un taglierino sul quale era presente la traccia di un profilo genetico compatibile con il suo (ma poi considerato contaminato). I due gradi di giudizio però (l’accusa chiedeva l’ergastolo) hanno assolto l’uomo: secondo i giudici non è stato lui e il racconto «di un killer sconosciuto e incappucciato» era credibile. Dopo solo quattro mesi - il 2 dicembre 2016 - un altro, inquietante, femminicidio a Colognola, alle porte di Bergamo, ha scosso la città. L’aggressione è avvenuta di sera (alle 20), mentre la maggior parte delle forze dell’ordine era impegnata allo stadio per la partita Atalanta-Empoli.

 

 


A morire, con una coltellata alla gola come Gianna, è stata Daniela Roveri, 48 anni, dirigente alla Icra (azienda leader nella produzione di rulli ceramici), che stava per rientrare a casa. Qualcuno l’ha sorpresa (anche lei alle spalle, come Gianna e Sharon) sull’androne del palazzo, l’ha bloccata e uccisa senza che, nemmeno lei, riuscisse a gridare. Un omicidio apparso subito strano e senza un movente perché la vita della manager, passata al setaccio dagli investigatori, non ha mostrato ombre: la donna era single (il suo personal trainer e uno spasimante non corrisposto avevano un alibi credibile) e viveva con la madre, non aveva problemi di lavoro né nemici. Alla fine delle indagini e dopo aver sentito 500 persone il caso, nel febbraio 2019, è stato archiviato. Vista la vicinanza temporale e chilometrica e le modalità simili a quelle del delitto De Gaudio, gli inquirenti avevano provato a considerare l’ipotesi del serial killer, ma avevano desistito dopo che il Dna prelevato dalla guancia di Daniela e comparato con quello del taglierino trovato a Seriate è stato giudicato «blandamente compatibile». E così, anche per la morte di Daniela, come per quella di Gianna, non è stato trovato un colpevole. Due casi irrisolti che ora tornano alla ribalta con l’omicidio di Sharon e a qualcuno fanno venire il sospetto che, forse, ci si sia fermati troppo presto di fronte alla pista di un unico assassino seriale. Anche perché la preoccupazione aumenta e se torniamo ancora più indietro, fino a 31 anni fa, i femminicidi irrisolti nella bergamasca salgono a sette. I tre che più hanno segnato la provincia sono stati quelli accaduti nell’estate del 1993, a distanza di poche settimane l’uno dall’altro.


L’ESTATE DEL 1993
Il primo, ricordato da tutti perché ebbe un grosso impatto mediatico, è stato quello di Laura Bigoni, una ragazza milanese di 23 anni trovata morta il primo agosto nella casa di villeggiatura dei genitori a Clusone, in Valle Seriana. Laura era stata uccisa con nove coltellate al petto e alla gola e per l’omicidio gli investigatori avevano puntato le attenzioni su Jimmy Bevilacqua, il fidanzato che aveva una storia parallela con un’altra (Vanna Scaricabarozzi): l’uomo, all’epoca 25enne, era finito a processo e condannato in primo grado a 24 anni, ma poi era stato assolto in Appello, con conferma della Cassazione. Quasi due mesi dopo, altro sangue e altro femminicidio: il 18 settembre 1993 Giacomina Carminati, 59 anni, di Trescore Balneario, a circa 30 km da Clusone, è stata trovata morta in casa con le gambe legate da una cintura e la testa un sacchetto di cellophane chiuso da una corda. Era stato il marito, a lungo interrogato, a scoprire il corpo: l’autopsia aveva poi stabilito che la donna era stata strangolata. Nell’abitazione mancava un milione di lire in contanti, trafugato dal cassetto di un comodino, e l’ipotesi di una rapina finita male era stata la prima presa in considerazione, anche se molti sospettavano potesse trattarsi di un depistaggio. Ma alla fine niente: nessun indagato, nessun colpevole. Il terzo inquietante caso di quella maledetta estate bergamasca è stato quello di Marina Loreto, giovane impiegata di 28 anni trovata uccisa il 23 settembre 1993 nel parco del Famedio a Ponte San Pietro, a circa 35 km da Trescore. Marina era stata picchiata e strangolata a mani nude e sotto le sue unghie sono stati trovati capelli e un brandello di pelle dell’assassino, che però non è mai stato identificato.


Tra questi tre femminicidi irrisolti e quello di Gianna De Gaudio in realtà ce ne è stato un altro, però passato in secondo piano perché offuscato dal caso di Yara Gambirasio. Durante le ricerche della 13enne sparita a Brembate Sopra (e trovata morta a Chignolo), il 30 dicembre 2010 è stato trovato nel fiume Serio il corpo Sarbjit Kaur (in slip e calzini, con i jeans rinvenuti a 50 metri di distanza), una giovane operaia di origine indiana. La sua morte è stata archiviata come suicidio - malgrado la famiglia fosse sicura dell’omicidio- e ora la difesa di Massimo Bossetti ha chiesto di riaprire il caso, ipotizzando un collegamento con l’uccisione di Yara e altri delitti irrisolti. Già, proprio come quelli di Gianna, Daniela e (finora) di Sharon.

 

 

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