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Bologna, Pd in guerra con i proprietari di casa: la crociata del sindaco

Michele Zaccardi
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Niente da fare. A sinistra non ce la fanno proprio a lasciare in pace i proprietari di casa. Ché, sia detto per inciso, sarebbe pure un loro diritto, quello di farci ciò che vogliono con i loro immobili. E invece no. Perché dopo la stretta varata dal comune di Firenze, dove in seguito alla bocciatura del Tar l’amministrazione comunale ha emanato una nuova ordinanza per limitare gli affitti brevi nel centro storico, qualcosa si muove pure a Bologna. Intervistato da Repubblica, il sindaco dem Matteo Lepore ha rilanciato la sua battaglia contro il turismo selvaggio. E nel mirino, ovviamente, sono finite le case-vacanze. «Il problema» puntualizza Lepore, «non è solo Airbnb, è un intero sistema di grandi piattaforme».

«Città come Amsterdam e Barcellona hanno preso contromisure, in Italia deve agire il Parlamento» aggiunge il sindaco. Che spiega cosa ha fatto finora: «Insieme a una ventina di città abbiamo firmato una proposta per fermare la tensione abitativa che restituisce ai sindaci la possibilità di contingentare le licenze delle case vacanze. Per stabilirne un tetto massimo». E dunque: limiti al numero di immobili dati in affitto ai turisti. E quindi alla libertà dei proprietari di disporre dei propri appartamenti o villette. Questo perché il sindaco, nonostante i suoi sforzi, non è ancora riuscito a dare una risposta a quelle migliaia di studenti che si trasferiscono a Bologna per frequentare l’università ma non trovano una sistemazione.

 

 

 

O meglio, la trovano solo se sono disposti a spendere 600 euro per una stanza. Il povero Lepore giura che lui ci ha provato, eccome, ma che più di tanto non può fare. «L’università di Bologna ha 100mila iscritti, 60mila dei quali vivono in città» spiega il sindaco. «Molti grandi atenei americani ne hanno 30mila. Noi stiamo costruendo di tasca nostra studentati pubblici, ma se manca una politica nazionale sul diritto allo studio le città fanno fatica». Ma Lepore interviene anche sulla polemica scoppiata sull’overtourism che sta affliggendo la città emiliana. E qua lancia la sua proposta: «un percorso» chiamato «destinazione turistica democratica». Una supercazzola, che Lepore tenta poi di spiegare. «Il turismo è un fenomeno globale e alzare muri per fermarlo è ideologico e velleitario» premette il sindaco. Piuttosto, aggiunge, «dobbiamo coinvolgere i cittadini nella sua gestione. Per questo in autunno lanceremo un percorso che abbiamo chiamato “destinazione turistica democratica”: vogliamo decidere insieme come spendere i 14 milioni di euro all’anno di proventi della tassa di soggiorno.

 

 

 

L’idea è che ogni euro incassato dai turisti debba servire a rendere più vivibile la città». Come, però, non è dato sapere. Per evitare di farsi capire, Lepore usa pure un termine inglese: DMOcracy. «Molte città olandesi lo stanno facendo, noi saremo i primi in Italia. In inglese si dice DMOcracy, ed è la somma di destinazione turistica più democrazia. Il turismo per funzionare deve migliorare la vita di tutti, non mangiarsi le città. Vogliamo discuterne nei quartieri, che stiamo riformando, a partire dai dati, attraverso meccanismi di partecipazione diretta». Bene, ma in concreto? «Faccio un esempio, c’è un quartiere vicino alla stazione dove l’offerta turistica è in aumento: sono arrivati alberghi, ristoranti, b&b. Noi vogliamo discutere coi cittadini di come prevenire la gentrificazione». Farlo, poi, sarà tutta un’altra storia.

 

 

 

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