Vacanza con la suocera, "lei comanda e io eseguo": incubo in Costiera Amalfitana
Mi scuso con tutte le suocere d’Italia a cui vogliamo bene ma qui tocca scrivere ciò che nessuno ha il coraggio di dire: come sono davvero le vacanze con la mamma di lei (o di lui). E per evitare problemi parlerò della mia, di suocera. «Quante settimane hai di ferie? Due, tre? Una la passiamo insieme». Bum, mia suocera ha sganciato la bomba. Dall’altro lato del telefono la risposta, ponderata, attenta e articolata per non ferire nemmeno la consorte è una sola: «Sì». Da questo momento parte un gioco di incastri di date e di mete per salvare il salvabile di ciò che resta delle ferie al netto della settimana con la suocera.
E inesorabile arriva la partenza. Il primo giorno, magari in qualche posto sul mare, magari in un hotel che «ha tutto vicino» (questa la richiesta sommessamente avanzata dalla suocera), ecco che si parte con il servilismo per abbassare subito l’asticella della tensione: «Ma lascia, no, insisto, la valigia te la porto io». Sorriso e punti genero in rapida crescita per le stradine della Costiera amalfitana. Poi si arriva in hotel e via, qua comincia la gara a chi avrà la sistemazione più comoda: «Allora le stanze erano due, giusto? Mi avevi mandato le foto...», sono le premesse della suocera. A questo punto getta la maschera e arriva l’ispezione: «Fatemi vedere anche la vostra così poi decidiamo chi va dove...». «Io, sono la più anziana del gruppo. Nessuno può opporsi e quindi mi prendo il letto migliore e il bagno più grande», il retropensiero nascosto dietro a un semplice «per me è uguale, decidete voi». Al secondo giorno c’è il dogma della colazione «tutti insieme».
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E anche qui, con sei giorni ancora davanti, bisogna giocare d’astuzia: «Cosa preferisci? Dai vado io prendere ciò che vuoi al buffet. Frutta e una brioche?». Ci si aspetterebbe un «ok, fai tu, nessun problema». E invece in pochi secondi il genero diventa cameriere e la suocera il cliente più scomodo: «Allora, il piatto di frutta per favore solo banana e kiwi. Ah, a parte una pesca, però non troppo matura e poi una brioche con marmellata, quella fatta in casa». Raccolta l’ordinazione, si procede.
Il terzo giorno invece è tutto dedicato all’aria condizionata. Lo sputa-freddo viene visto come Satana e partono le richieste più assurde: «Ci hai fatto caso? Quando si arriva dalla spiaggia tutti accaldati e si entra in hotel c’è un freddo...è quel condizionatore piazzato al centro della reception. Potresti chiedere di alzare la temperatura?». Il disagio del singolo tramutato in un diktat per il gestore della struttura (e ovviamente per tutti gli ospiti). Si prova a far cadere nel vuoto la terribile esigenza.
Il quarto giorno di questa lunga, lunghissima settimana, viene dedicato all’intrattenimento: «Non possiamo fare un’escursione? Guarda quelli che rientrano in barca, chissà come si sono divertiti...». Dietro a quel “chissà” c'è un mondo: insoddisfazione per il programma scelto dal genero che prevedeva stazionamento totale in spiaggia sotto l’ombrellone e giudizio generazionale. «Sono più attiva io che mia figlia e mio genero che hanno 30 anni in meno», il pensiero nascosto. E quindi forzatamente, sotto lo zenit, si fa un giro per le vie di Amalfi.
Ed eccoci al quinto giorno, manca poco alla fine. Arriva la fase della malinconia: «Eh la vacanza è finita, vero figlie mie?», una coltellata che arriva dritta su moglie e cognata (già, perché c’è anche lei in vacanza). Allora si cerca di distrarla con un’offerta irrinunciabile: «Giretto per negozietti così ti compri qualcosa da portare via?». E anche stavolta il rischio di uno scontro è archiviato. Ma non basta. Al sesto giorno alla malinconia si aggiunge l’ansia dei pagamenti: si fanno i conti delle spese e si divide tutto. A seguire la litania: «L’ultima cena, l’ultimo bagno». E allora il “generaccio” si gioca il jolly all’ora della siesta: «Vediamo un po’ di tv?". E inizia il palinsesto preferito rigorosamente a base di repliche di “Elisa di Rivombrosa”, “Il paradiso delle signore” e se resta tempo anche una puntata di “Che Dio ci aiuti”.
Il settimo giorno è quello dei saluti. Lei torna a casa sua, in Campania, e io finalmente a Milano. Ma prima di separarci una domanda, come una zanzara, arriva al mio orecchio: «Quando sei libero di nuovo?». Non faccio in tempo a rispondere che si palesa la salvezza: «Ah, no scusa io a fine agosto vado in Sicilia, viaggio organizzato con l’agenzia... Buon rientro e buon lavoro». Grazie.