Montagna, droni fuori controllo e arrampicate in camicetta
Perché un altro modo per descriverli c’è no: quando te li trovi lassù, su quelle cime immacolate, oltre i 2mila, ai 3mila, sui sentieri meno battuti, stretti stretti, segnati giusto da un tracciato, in infradito e camicia hawaiana, con pure gli ananas stampati sopra, con le ciabatte di plastica che sono l’orrore supremo se ci cammini sul corso in città, figurati in mezzo alla macchia verde del pino mugo e, adesso, pure tecnologici. Con l’app, il gps, il cellulare sempre connesso a Instagram (ché magari la scalata in quota l’han vista fare da qualche sedicente influencer sui social e loro hanno pensato bene, cioè male, di replicare l’eroica impresa: succede e più spesso di quel che pensa), il drone che svolazza.
Una telecamerina (ad alta definizione, guai ad accontentarsi di immagini sgranate, siam mica più negli anni Novanta - purtroppo, visto che negli anni Novanta, al posto dello smartphone, si accendeva il cervello), quattro mini eliche, un joystick per controllarlo (nove su dieci basta il telefonino) e le riprese aeree delle vacanze sono assicurare. Funzione importantissima dato che il filmino, in autunno, verrà messo in lizza per i prossimi Oscar. Vedesi alla voce: pseudo-escursionisti alla Stanley Kubrick. Poi, se finisce che quel benedetto (si fa per dire) aggeggio ronzante impedisce all’elicottero giallo del soccorso alpino di decollare, dai pressi del lago Sorapis, sulle Dolomiti bellunesi, nonostante a bordo abbia una donna di 52 anni con un trauma a un piede, che deve raggiungere l’ospedale con una certa urgenza, pazienza. Sono i rischi del mestiere (di maleducato).
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Anche considerato che il drone in questione (il fatto è accaduto lunedì: la signora, alla fine, al pronto soccorso è arrivata, ma ha dovuto aspettare i comodi 2.0) di posarsi a terra non ne voleva sapere perché chi lo controllava si è mischiato nella folla facendo finta di c’entrarci un tubo. Ché qui, oltre alla villania, c’è anche una buone dose di stronzaggine, per parlarci chiaro. S’è l’è presa (e giustamente) il governatore del Veneto Luca Zaia, Lega. «Un episodio estremamente grave. Condanno con forza l’irresponsabilità», la stessa (peraltro) degli impreparati che affrontano le cime senza un minimo di preparazione: «Non è accettabile», aggiunge Zaia, «apprendere che il 21% degli interventi del Soccorso alpino regionale da inizio giugno, cioè 95 persone in tutto, abbia riguardato chi è rimasto illeso ma bloccato in montagna per incapacità».
Di loro ce ne occupiamo tra un attimo, restiamo per qualche riga sui droni. Tanto utili a chili utilizza con criterio (compresi, guarda il caso, proprio gli uomini e le donne dei soccorsi), addirittura dannosi per (alcuni degli) altri. In Italia sono 60mila quelli registrati negli ultimi quattro anni, il 92% a scopo ricreativo, solo l’8% per un uso professionale legato anche alle attività pubbliche. Ce ne sono di tre categorie differenti, quelli più leggeri sono alla portata di tutti, per quelli più pesanti serve un patentino, oramai ce li troviamo sulla testa ovunque. Infatti il disguido al Sorapis dell’altro dì non è un caso isolato: il soccorso alpino veneto sono settimane che lancia allarmi; a Trento, nel 2018, un altro chopper del servizio ha rischiato di scontrarsi con un drone e l’impatto s’è evitato solo perché il pilota ha “sterzato”; e se non ci si mette un freno prima o poi l’irreparabile avviene.
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Corna e dita incrociate, speriamo di no. Però se l’andazzo è come quello della carica degli sprovveduti, che sono anni si ripete loro, in ogni salsa, a ogni livello, dalle istituzioni ai volontari del salvataggio, che le scalate in mocassini conviene evitarle o che l’attrezzatura nei trekking è importante quanto il pranzo al sacco, stiamo freschi. Giusto gli ultimi episodi: la mamma che tenta la ferrata Bepi Zac, in Trentino, con un bimbo in braccio; la ragazza che a Schio, Vicenza, si perde perché si allontana dal gruppo ma non ha con sé manco una pila (o una cartina); i turisti che a Cortina son saliti ai 2.700 con le scarpette da ginnastica, quelle con la suola di gomma traspirante (utili, a quelle condizioni, quanto una muta da sub). Dei 12.349 interventi del Soccorso alpino e speleologico, l’anno scorso, uno su quattro ha recuperato chi nei guai, tutto sommato, ci si è messo da solo. Gli angeli con il giubbotto fosforescente partono lo stesso, per carità, è una missione: ma un po’ più di rispetto anche per loro (rischiano la pelle) non compromette la qualità delle nostre vacanze. Anzi.