Ormai le previsioni si guardano per sapere chi è messo peggio
Sarà pure “la più bella”, con l’usurato Flaiano a fare capolino su Instagram. Ma adesso, siamo seri: l’estate è anzitutto la più classista. Bella e infedele, come si dice delle traduzioni, o se non altro bella e impietosa allorché traduce i sogni in realtà. Ed ecco dunque il caldo torrido anche detto Caronte, come lo chiama chi ha un’età e si lascia traghettare al giudizio. Poiché gli uni disvela schiavi – l’estate che alla tivù chiamerebbero “divisiva” – e gli altri liberi.
Gli uni giudica ricchi – dacché esiste l’aria condizionata – e gli altri poricristi (o se preferite persino poverammé, che, a proposito di traduzioni, nella nostra lingua madre sta all’incirca per: sudaticci senza i grandi elettrodomestici; paese reale che consulta le previsioni meteo per sapere chi sta peggio e magari godere del fiatone altrui, dimenticando il proprio).
E non sono dunque i giorni della merla – non meno mitologica dell’araba fenice – ma i giorni dell’allerta. Quelli che sì, esistono davvero, e che sono appunto oggi domani e dopodomani. I giorni che fra densi climi, grandi mattini, albe senza rumore e risvegli in un acquario, rasentano termometri subtropicali ove non equatoriali. Gradi centigradi che come nel subcontinente c’inchiodano a sistemi paracastali.
Fra abbienti a mollo, fateci caso, che ai balneari manco ci pensano – la spiaggia privata fa comunque effetto “chiattillo”: meglio piscine à la David Hockney – e paria con l’ombrellone in spalla. Stile rabdomanti alla ricerca d’un posto nel mondo. Intanto, però: “caldo torrido”, “afa”, “anticiclone africano”. Il tigì non dice che è divisiva ma poco ci manca. La temperatura sale: quaranta gradi al Mezzogiorno, quarantatré nelle isole, meglio al centro-nord e non c’è dubbio: l’estate è in assoluto la più classista, con l’autonomia differenziata che dalla geografia sfocia dritta in economia (e nel cosiddetto tessuto sociale).
Ed è insomma l’alta stagione che nei giorni d’allerta ci mette a nudo: nel senso del costumino, sì, ma pure delle tasche. A Catania guardano i gradi centigradi di Aosta ma soprattutto, per strada, i poverammé – sempre loro, da Milano in giù – guardano il venticello climatizzato dei grattacieli. Dove pur di non spegnerlo, il condizionatore, ci si mette il golfino. Foss’anche sopra il costumino. E tutti sottovoce si manda affanbagno Draghi e il suo motto d’alto profilo etico: volete i condizionatori o la pace? Fintanto che là fuori, sempre loro, i poverammé, si prendono l’aria calda emessa dall’aria fredda (l’aria dell’attico che per inciso costa e inquina). Ma l’estate è così: gli uni disvela schiavi, si diceva, e gli altri liberi. E a noi in fondo, che odiamo il caldo, quasi quasi piace per questo. Perché è bella, impietosa. Estate fatale come le fatalone da spiaggia (che, salvo JLo in costiera, non si vedono più). Perché col caldo le maschere si sciolgono, e gli ottimati che a dicembre postano l’orso polare morente, ad agosto pubblicano piscina, condizionatore e l’usurata caption: “Non c’è che l’estate!”. La più bella, come si dice. La stagione che mette a nudo. La parte dell’anno che ai ricchi fa fare i ricchi, ai poveri i poveri e che, secondo una ricerca pubblicata sulla Welt, aumenta addirittura il numero di crimini per effetto del “long hot summer effect” ovvero più alta frequenza cardiaca, innalzamento di pressione e capriole d’adrenalina (del resto, ne Lo straniero di Albert Camus il protagonista spara a uno sconosciuto in spiaggia in conseguenza del solleone). E così i grilli cantano, l’aria sfarfalla, l’ideologia scioglie e l’umanità si spartisce, come sempre, fra liberi schiavi e liberti.
Ovvero sdraio fai-da-te, ombrelloni omologati (da parvenu) condannati a Sesso e samba, e infine pergole domestiche con supplemento d’aria. E vabbè che non sta bene scriverlo su Instagram, ma la verità, vi prego, sul calore. Perché l’estate è fra tutte la più classista.