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Berlinguer, quanti danni dai compagni tutti “film e martello"

Luca Beatrice
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Qualcuno era comunista, non Giorgio Gaber, qualcuno come Antonello Venditti che nel 1991 scrisse il pezzo strappalacrime Dolce Enrico, risposta nostalgica alla fine del Partito Comunista Italiano mentre si stava sciogliendo l’impero sovietico: «Enrico, se tu ci fossi ancora ci basterebbe un sorriso. Per un abbraccio di un’ora. Il mondo cambia, ha scelto la bandiera. L’unica cosa che resta è un’ingiustizia più vera». Cosa intendesse esattamente non si capisce ma non importa, alle canzoni per funzionare basta la rima baciata.

Anche dopo il Pci la sinistra italiana non ha mai abbandonato il mito di Enrico Berlinguer, per due motivi entrambi suggestivi. Il primo, la celebrazione di un caduto sul lavoro che tra tutte le morti in tempo di pace è quella dal maggior valore simbolico e lo testimoniano i numerosi monumenti eretti nelle piazze d’Italia. Non una malattia, non un incidente, le ultime parole dette alla sua gente, una fine improvvisa di un uomo ancora giovane che non aveva capito quanto il tempo stesse correndo veloce. Qualcuno non era comunista eppure gli rese omaggio, qualcuno come Giorgio Almirante senza scorta ai funerali, all’uomo certamente e al segretario politico di un Partito talmente tradizionale che dopo di lui scelse uno della vecchia guardia, Alessandro Natta, perché non sentiva alcun bisogno di innovarsi. Ma a breve ci penserà la storia (...)

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