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Roma caos: da Nerone a Gualtieri, la Capitale brucia da sempre

Ginevra Leganza
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Non brucia da mercoledì pomeriggio, Roma, ma a occhio e croce da sempre. Tanto che basterebbe bere un caffè in via Teulada, oggi, per capire che non occorre scomodare Nerone. Basterebbe bere una spremuta alle pendici di Monte Mario, qui dove i rotori degli elicotteri si confondono coi tormentoni estivi, per sapere – come dice la proprietaria del bar, alzando gli occhi al cielo – che “questo posto in trent’anni è bruciato tantissime volte, ma mai così”. E siamo dunque a pochi passi dal focolaio che si espandeva, mercoledì, al punto da evacuare sei palazzine, da gettare nel panico l’Osservatorio Astronomico, da mettere in fuga la sede Rai in via Teulada (con Nunzia De Girolamo – in una mise en abyme di fuoco e fiamme – che filmava in diretta Instagram la sua diretta sospesa). Siamo qui in via Teulada ed ecco la protezione civile in pausa pranzo con la proprietaria che alza, di nuovo, gli occhi al cielo. E dice – secondo una solfa verosimile non meno che folcloristica – che “vabbè, in Rai evacuano perché so’ schifiltosi”...

Nel frattempo comunque c’è il sindaco. Che come De Girolamo posta video sui social in stile Marvel. Supereroe in elicottero, Roberto Gualtieri (il cui profilo Instagram non brucia ma brilla: complimenti allo staff) non convince però gli indigeni a Monte Mario. Li ascoltiamo chiacchierare e capiamo infatti che qui prevale l’ipotesi “incuria” più del presunto campo abusivo (al quale invece crede il tassista che ci viene a prendere in piazza Mazzini e ipotizza accattoni anche per il rogo di domenica scorsa a Ponte Mammolo, quello per cui la procura di Roma indaga: incendio colposo).In ogni caso, si diceva, se Roma non fu costruita in un giorno – Rome wasn’t built in a day, cantavano i Morcheeba – neppure brucia da un giorno. Ma da sempre. Il fascinoso quartiere Testaccio, per dire, ospita finanche un museo dedicato alla “Città del fuoco”. Perché è la combustione il suo elemento. Ovvero il fuoco che sa di eterno non meno che di degrado. Tanto che non si sa se partire dalla fine – e cioè dall’emergenza rifiuti a seguito dell’incendio del Tmb di Malagrotta, avvenuto la vigilia di Natale scorso, il 24 dicembre – o dall’inizio. Ossia dai roghi eterni e miracolosi come quello dipinto da Raffaello Sanzio in Vaticano. L’Incendio di Borgo che divampa nell’847, a ridosso della Basilica di San Pietro, e viene estinto dal Papa Leone IV con una benedizione.

 

 

Non si sa da dove partire anche perché – dice Franco Battiato, non noi – rispetto ai suoi millenni, “il fuoco che bruciò Roma è solo sprazzo”. E perché poi, canta ancora Antonello Venditti in una canzone brutta ma piena di citazioni (è pur sempre allievo del Giulio Cesare: quartiere Trieste), Roma brucia da sempre. “Brucia Roma, co’ li romani / Brucia Roma, co’ li cristiani”. E brucia pure co’ li turisti. Senza dimenticare, infine, i viaggiatori colti (vedi Ingeborg Bachmann, la poetessa austriaca venuta a Roma per seguire il caso Montesi, che bruciò nella sua stanza in via Giulia, dove forse teneva una sigaretta accesa e si assopiva coi barbiturici).

Ma adesso, tornando al nostro caffè in via Teulada – che a dispetto dell’incendio è meno bruciato dei caffè presi in centro – ci avviciniamo alla caserma dei carabinieri. Vicinissima alle case evacuate. Qui lo sfondo (la collina, l’osservatorio superstite, gli elicotteri, il bosco arso) pare preso a prestito dall’ultimo film di Stefano Sollima, Adagio, dove in ventiquattr’ore Toni Servillo, Pierfrancesco Favino e Valerio Mastandrea fanno i gangster fra Piazza del Gesù e San Lorenzo. Sulle note di Franco Califano e sullo sfondo, appunto, di una città distopica. Che neanche a dirlo è piegata da incendi e cali di tensione. Con una popolazione in fuga dall’apocalisse. E giusto in termini di “apocalisse” si è scritto in queste ore, riportando la disperazione degli indigeni a Monte Mario. Quelli che dal sindaco Gualtieri – Instagrammiano Imperatore – si lasciano incantare un poco meno di noi... Ma che non dovrebbero temere. Ché come Nerone egli la farà più grande, Roma. O, come dire, “più superba e più bella che pria” fintanto che comunque brucerà sempre. “Bene, bravo, grazie!”.

 

 

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