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Autovelox illegali, è un caos. I sindaci: nessuna notifica

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«A noi non è stato notificato nulla dall’autorità giudiziaria, né sono arrivati provvedimenti di sequestro». Giovanni Di Matteo, il sindaco di San Martino in Pensilis, paesotto molisano di neanche 4.500 abitanti, in provincia di Campobasso, si sfoga così nell’edizione locale del TgR di ieri. San Martino è una delle amministrazioni finite nella “retata” della Polstrada di Cosenza, lunedì pomeriggio, che ha “spento” una trentina di rilevatori della velocità modello T-exspeed v. 2.0 in tutta Italia. «Gli autovelox installati sul nostro territorio vengono gestiti in totale autonomia dalla società che ha in appalto il servizio», spiega Di Matteo.

I dispositivi a cui si riferisce (dovrebbero essere due) sono collocati lungo la strada statale Sannitica, «tenuto conto dei numerosi sinistri» come spiega la delibera della giunta che ne ha dato il via libera e, stando ai bilanci del Comune, nel 2023 hanno fatto registrare cifre mica da scherzo: hanno generato, cioè, proventi per oltre 384mila euro a fronte di un incasso assai più contenuto (728,90 euro: preciso al centesimo) dell’anno precedente. Proprio per questo, il polverone sollevato dalla procura calabrese, che rischia di trasformarsi in una tempesta di sabbia sahariana, non solo in Molise, ha già cominciato a sferzare l’aria. Con da una parte le associazioni degli utenti, per esempio il Codacons, che annunciano esposti nelle Corti dei Conti delle regioni interessate (Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte, Basilicata, Molise, Puglia, Calabria e Sicilia) e dall’altra la guerra dei ricorsi. Che, però, gioca due partite.

 

 

Quella sulla decisione della magistratura cosentina (che, tra l’altro, non è la prima volta che ci prova: nel luglio del 2023 successe lo stesso, ma pochi mesi dopo il tribunale del riesame, su istanza della società allora coinvolta, e non si capisce perché oggi non si possa percorrere la stessa strada, ordinò il dissesequestro e, nei fatti, “riaccese” i dispositivi) e quella dei tanti, tantissimi, automobilisti che un po’ per la recente sentenza della Cassazione sul “caso Treviso”, un po’ per la pubblicità avuta in questi giorni, potrebbero decidere, in massa, di tutelarsi. O, al massimo, di cercare un risarcimento.

Cosa accadrebbe? La risposta breve è: un patatrac. La risposta più articolata è un ragionamento che per forza di cose si fa ipotetico ma per necessità si fa plausibile. Gli autovelox sequestrati due giorni sono una trentina. È una forzatura immaginare quante sanzioni possano aver staccato, perché ovviamente molto dipende dal tipo di strada, dal traffico standard, da diversi fattori che influenzano il loro occhio elettronico: però supponendo un numero medio di 7mila multe all’anno cadauno (un dispositivo oscilla tra le 5 e le 15mila sanzioni all’anno), saltano fuori 210mila verbali. Che moltiplicati anche solo per 50 euro (la contestazione minima è di 42 euro, ma la massima arriva anche a 695) fanno l’esborso monstre di dieci milioni e mezzo di euro.


Questo, ripetiamo: in via del tutto supposta, se chi è stato multato dai velox “illegali” chiedesse solo un rimborso di quanto pagato per errore. Ma non c’è solo quello. «Spesso il problema più grave è quello dei punti della patente», spiega a Libero Marco Biagoli, avvocato esperto di queste questioni che opera nel foro di Grosseto, «o del ritiro nei casi più gravi. Di norma i ricorsi sono indirizzati alla richiesta di annullamento della sanzione pecuniaria, mentre il risarcimento del danno è rimesso in via equitativa dal giudice oppure va provato». Pensiamo, però, a tutti quelli che, per la patente ritirata, non possono andare al lavoro e magari, se questa situazione va avanti per mesi, il lavoro, lo perdono proprio. Non è così campata per aria come casistica. «Se i giudici di pace aderiranno a questi orientamenti della Cassazione», continua Biagioli, «annulleranno in gran numero. Senza contare un’altra voce che potrebbe influire, quella del contributo unificato perché spesso e volentieri la causa per riottenere la patente assume valore indeterminato e si paga un contributo di 237 euro. In un’eventuale sentenza ci potrebbe essere una condanna dello Stato a restituire questi 237 euro, l’annullamento della sanzione e anche l’importo della parcella del legale». Se si incanala l’onda, è uno tsunami.

 

 

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