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Turetta, il padre costretto a chiedere scusa per la sua pietà

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Pietà per il padre dell’assassino. «Chiedo scusa per quello che ho detto a mio figlio. Erano solo tante fesserie, frasi senza senso. Non ho mai pensato che i femminicidi siano una cosa normale. Temevo che Filippo si suicidasse, non pronuncerei più quelle parole ma erano solo un tentativo disperato di evitare un gesto inconsulto. Mi dispiace, provo vergogna per quelle frasi, erano istanti devastanti, non sapevo come gestirli». Così Nicola Turetta, padre di Filippo, il ragazzo che ha massacrato a coltellate Giulia Cecchettin, la fidanzata che non lo voleva più, all’indomani del linciaggio mediatico seguito alla pubblicazione delle intercettazioni del suo primo incontro in carcere con il figlio, il 3 dicembre scorso.

Quel giorno Nicola, nel tentativo di stare vicino al figlio, celebrato come mostro nazionale in quanto colpevole di un delitto atroce che giustamente lo porterà probabilmente all’ergastolo, pronuncia davvero parole che, lette dalla nostra scrivania, quali osservatori estranei con negli occhi le immagini di Giulia, morta perché, per fatale umanità, per generoso affetto, aveva acconsentito per l’ennesima volta a vedere Filippo, sono inaccettabili. «Hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, un terrorista, uno che ammazza le persone. Hai avuto un momento di debolezza, devi farti forza.

Non sei l’unico, ce ne sono stati parecchi altri, non sei stato te, non ti devi dare colpe perché non potevi controllarti. Avrai i permessi per andare al lavoro, per uscire, la libertà condizionale. Ti devi laureare» (...) 

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