Sanremo, l'ex vigile che timbrava in mutande coperto d'oro dal Comune: quanto incassa
È finita che il Comune di Sanremo dovrà dargli tutti gli arretrati. Che nemmeno sono pochi spicci: 227mila euro lordi, che ne fanno 130mila al netto delle tasse, e che sono addirittura un “almeno”. Nel senso che potrebbero pure aumentare perché ora si potrebbe aprire un’altra battaglia, quella sul risarcimento. Alberto Muraglia: un nome che, forse, si ricordano in pochi. Il “vigile il mutante”, quell’agente della locale, pizzicato, era il 2015, a timbrare il cartellino con addosso solo una maglietta bianca e un paio di slip neri: una foto, in bianco e nero, ripresa dal girato di una telecamera interna, in uno stabile comunale di Sanremo, appunto, che, invece, rammentano tutti gli altri.
Era diventato il simbolo, suo malgrado, della lotta senza quartiere ai “furbetti del cartellino”, Muraglia. Quei furfanti, mezzi scansafatiche e mezzi imbroglioni, che, specie nel pubblico ma ci sono anche nel settore privato, lavorano meno di quello che guadagnano. Ne rimangono, sicuramente, tanti (come tanti sono i lavoratori onesti che non rubano nemmeno un giorno di ferie). Però, ecco, lui no. Non lo era. Lo ha deciso il tribunale, lo ha confermato (adesso) la Cassazione. Cassazione che ha anche respinto un altro ricorso, quello del Comune ligure su una sentenza della corte d’appello civile che ha bollato come illegittimo proprio il licenziamento di Muraglia. Una vittoria, per lui, su tutti i fronti. «Mi accusavano di rubare, ma è il Comune che spreca», è sempre stata la sua linea nel corso dei procedimenti che lo hanno investito.
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Lo avevano arrestato, Muraglia. Al seguito di quell’indagine della guardia di finanza era passato prima per truffatore e poi per delinquente: non solo a Sanremo, non solo in Liguria. Davanti all’Italia intera. Lui, che gestiva i controlli del mercato ortofrutticolo, che doveva aprire i cancelli, tutti le mattine, alle 5:30: lo avevano mandato ai domiciliari. Un anno dopo era persino stato licenziato. Stralcio del contratto, fine. Per campare ha dovuto aprire una piccola attività di riparazione di elettrodomestici, tuttavia di arrendersi non ha mai pensato: «Il nostro appartamento è proprio dentro il mercato», ha ripetuto, più volte, davanti ai giudici, «posso spiegare tutto». Poche occasioni, pochissime, che non ha mai taciuto, in cui è andato a timbrare in déshabillé perché era in ritardo, perché aveva fretta. Solo per quello.
Come quel giorno. Quello della foto mandata in tivù da ogni telegionale dell’epoca. Era lui, sì, davvero in mutande, mentre passava il badge sotto lo scanner, una mise non proprio elegante e un’immagine non esattamente signorile, siamo onesti; ma non perché poi aveva intenzione di tornare a letto a dormire, come è stato accusato. L’esatto contrario, subito dopo s’è rivestito ed è entrato in servizio. «Obiettivamente ha ragione», conferma uno dei suoi avvocati, il legale Alberto Luigi Zoboli, «è emerso che la realtà era molto diversa da quella che poteva apparire in quella fotografia». Uno scatto, insomma, decontestualizzato, preso a sé stante. E poi una polemica, infinita, ché ne abbiamo parlato e scritto e commentato per settimane, per mesi, dieci anni fa, quando da tempo ormai era in vigore la legge anti-fannulloni voluta da Renato Brunetta (allora ministro per la Pubblica amministrazione con l’ultimo governo forzista di Silvio Berlusconi).
Adesso si tirano le somme. «Il Comune (di Sanremo, ndr) ha versato il minimo sindacale senza tenere conto delle rivalutazioni Istat, delle ferie non godute e di altre voci», rincara il secondo avvocato di Muraglia, Alessandro Moroni. Non è un dettaglio insignificante. È un dettaglio, semmai, che potrebbe valere, dice chi si lancia in qualche stima, prematura però plausibile, circa altri 60mila euro. E non è finita nemmeno qui: «Mentre Muraglia», spiega Moroni, «ha scelto di chiudere il suo rapporto di lavoro col Comune, un altro dipendente di Sanremo è stato riassunto e altri due, sempre di Sanremo, hanno la possibilità di vincere contenziosi analoghi». Della serie, le ricadute, per una decisione del genere, potrebbero essere molteplici, potrebbero aprire altre strade. «Il nostro assistito si è dimesso», conferma Zoboli, «e ha perciò diritto a diciotto mensilità in più perchè rinuncia al posto».
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