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Autonomia differenziata, la teoria degli economisti: la riforma è sbagliata perché il Sud è sprecone

 Roberto Calderoli

Francesco Specchia
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È come far scontrare Keynes contro Calamandrei nel mezzogiorno di fuoco del federalismo. Quando un economista con la pistola della «disunità nazionale» incontra un presidente emerito della Consulta che imbraccia la Costituzione; bè – direbbe Sergio Leone- l’economista è un uomo morto. Questo, in sintesi, lo scontro sul dibattito tra gli economisti Lucrezia Reichlin e Francesco Drago sull’ineludibile orrendezza della legge Calderoli attuativa dell’autonomia differenziata; e, in differita, Sabino Cassese. I primi, sulle colonne del Corriere della sera sono tranchant: l’applicazione della riforma costituzionale del 2001 è solo “federalismo à la carte”, una misura nefasta sebbene voluta dalla sinistra che ora ci fa un referendum contro.

Certo - ammettono Riechlin/Drago- in linea teorica, accettando i Lep, i livelli essenziali di prestazione a sostegno delle regioni più fragili, non è sbagliato «concedere più autonomia alle Regioni che possono gestire meglio del governo centrale alcune materie». Ma l’assonanza con Calderoli dura un nanosecondo. Perché subito Reichlin e Drago estraggono dal cilindro il concetto economico di «esternalità» cioè gli effetti negativi che l’attività di una regione può avere sull’altra (ma, in realtà l’esternalità può essere allo stesso modo positiva); e parlano di «missione quasi impossibile» sia nello stabilire «i costi standard di ogni e bene o servizio regionale», sia nell’erogare i Lep «a spesa pubblica invariata» (alla faccia dell’ottimismo).

 

 

E affermano che «va analizzato attentamente materia per materia quali siano costi e benefici della devoluzione» (monitoraggio peraltro già previsto dalla legge); e statuiscono che «non è difficile immaginare un contesto di confusione normativa», ma non ne spiegano, tecnicamente, il perché. Il nucleo del loro pessimismo cosmico, però sta nel prevedere che la riforma «sia un disincentivo per la classe dirigente del sud», e qui citano i Livelli essenziali di assistenza, i Lea, degli ospedali del mezzogiorno malfunzionanti per definizione. Di fatto, gli economisti senza basarsi su modelli, contestano dall’inizio la ratio dell’autonomia differenziata.

Che è: se anche le regioni del sud possono adire all’autonomia sulle materie previste dall’art 116 III°, esse possono responsabilizzarsi nelle spese e negli investimenti; e sono in grado di crescere, dato che finora passando dallo Stato centrale i bilanci del sud sono un disastro. Tra l’altro, guarda caso, nell’emergenza pandemica, la Regione Lazio s’è rivelata superiore alla stessa Lombardia. Ergo: se il centro-sud vuol essere virtuoso può farlo. Tra l’altro, questa è proprio la teoria di Cassese. Il quale rievoca l’aspirazione di tutte le regione all’autonomia regionale, a partire dai progetti del presidente del Consiglio Minghetti nel 1863 (fino al Libretto verde di Occhetto e alle bicamerali di D’Alema, aggiungiamo).

Cassese è pure lui tranchant: l’autonomia è un’opportunità per il sud. E se il nord diventerà sempre più ricco e il nord sempre più povero, be’, «dipenderà dall’incapacità delle regioni meridionali di sfruttare adeguatamente le risorsedi cui dispongono- un problema che perdura dall’unità d’Italia - e delle risorse di cui disporranno, grazie ai Lep nazionali garantiti». Tra l’altro, Cassese spiega bene il “paracadute”, la clausola di salvaguardia che preserva la riforma dalle diseguaglianze: l’art. 120 della Costituzione che sancisce il potere fondamentale del governo «di sostituirsi agli enti locali quando lo richieda la tutela dei Lep concernenti diritti civili e sociali». Ma la bizzarria delle teorie costituzionali di Reichlin e Drago sta proprio nella concezione che i due hanno del sud sguaiatamente irrecuperabile.

«Il problema del Mezzogiorno sta nel non essere riuscito ad esprimere una classe dirigente locale adeguata. Questo lo si deduce facilmente dal comportamento elettorale nelle diverse aree del Paese. Nel Nord, nonostante la dissoluzione dei partiti tradizionali, si sono formate classi dirigenti in grado di gestire Regioni e Comuni in modo efficiente (...) Al contrario, nel Mezzogiorno, i politici locali sembrano governare in consorterie di potere in cui si aggregano interessi particolari più che istanze e politiche generali». È la ratio della Lega, e di Cassese. Se ne deduce – afferma il duo - che se concediamo l’autonomia ai politici meridionali, sprecheranno tutto. Quindi meglio metterci una pietra sopra. Teoria economica situazioni sta. La prossima volta farei commentare Costantino Mortati a un Nobel per la chimica...

 

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