La scuola senza autorità crea incivili e omologati
Continua a far discutere la vicenda degli studenti che spararono nell’autunno scorso con una pistola ad aria compressa alla propria professoressa di scienze e biologia. L’episodio, che accadde in un istituto tecnico di Rovigo, generò indignazione in un’ampia fetta dell’opinione pubblica.
Ora i due ragazzi che avevano sparato sono stati promossi, addirittura con il nove in condotta. Un esito che fa restare allibiti, indipendentemente dalle giustificazioni addotte e che fanno riferimento al “buon rendimento” scolastico dei due. Perché il problema è questo: la scuola deve istruire, cioè trasmettere la cultura acquisita alle nuove generazioni, ma deve anche educare, cioè accompagnare i giovani all’età matura. È logico che, se nella scuola trionfa una cultura aziendalistica tutta protesa ai risultati, come è avvenuto, a farla da padrone saranno solo le astratte nozioni, il “rendimento” a cui hanno fatto riferimento i commissari di esame che hanno valutato i delinquentelli di Rovigo.
Quando ci si è resi conto, più recentemente, dell’asfitticità di un tale modo di intendere l’insegnamento, si è supplito al deficit di educazione civica rivolgendosi all’ampio arsenale di “buone pratiche” offerto dalla cultura woke, cominciando a perorare l’introduzione di parametri comportamentali fondati sulle ricette già belle e pronte del “politicamente corretto”. La sacra alleanza fra cultura aziendalistica e progressismo “inclusivo” sinistrorso ha di fatto messo da parte la cultura classica generando appunto o teppisti in erba o mentalità conformiste, due facce della stessa medaglia.
Ciò che soprattutto è stato messo in discussione è il “principio d’autorità”, che è il presupposto di ogni rapporto educativo serio e che non può essere sostituito né da parametri astratti di valutazione esterna al rapporto docente-discente né da una volontà, altrettanto astratta, di democratizzare l’insegnamento confondendo ruoli e poteri fra i diversi attori del processo educativo. A furia di “comprendere le ragioni”, “giustificare”, addossare alla società le colpe individuali, secondo gli insegnamenti di un trionfante psicopedagogismo di origine sessantottina, la scuola finisce per consegnare alla società persone incivili. Cosa penseranno i due ragazzi “premiati” se non che la loro azione in fondo non era tanto grave, che è lecito sparare al prossimo, generare l’ilarità del branco e diffondere sui social la bravata vantandosene?