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Invidia e frustrazione, perché l'accumulazione non c'entra nulla con la felicità

Stefano Sari
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La nostra società crede che la felicità e il successo si misurino con quanto si riesce ad accumulare di beni e ricchezze. Questa idea, oggi dominante, spinge le persone a buttarsi a capofitto nel lavoro con l’obiettivo di fare più soldi possibile. Ma nella vita non ci sono solo i soldi e le cose che con essi si possono comprare. Gli estremi della ricchezza o delle privazioni possono mettere alla prova la nostra scala di valori. Se ci pensate bene, però, una volta soddisfatti i nostri bisogni primari, avere delle entrate in più non aumenta di molto la nostra felicità e il nostro senso del benessere. Il problema non è il denaro in sé, ma il desiderio spasmodico di arricchire e questo porta a sacrificare cose invece importanti al fine del raggiungimento della felicità come, ad esempio, il tempo da trascorrere in famiglia e con gli amici. I beni materiali sono senza dubbio utili, ma non possono di certo amarci o apprezzarci. Le persone invece sì. Molti hanno scoperto troppo tardi che la gioia di vivere è un bene che non si compra. E non sorprende affatto che appaia così sfuggente in un mondo che spinge a competere, a desiderare di avere sempre di più, a raggiungere maggiori successi o addirittura a voler vivere la vita di qualcun altro.

Ogni individuo è unico, nessuno è identico a un altro, eppure la tendenza a fare paragoni e misurarsi con gli altri è molto diffusa e può rendere scontenti. Così la competizione al lavoro, o tra i banchi di scuola, dalle elementari all’università, incoraggia a misurare il proprio valore, a confrontarsi con gli altri, a volte con chi ha meno di noi, ma più spesso con chi ha più di noi o è più forte, più ricco o più brillante. L’effetto non è positivo, può essere stressante e frustrante, in quanto il confronto è viziato dall’errato presupposto che il valore di una persona dipenda da ciò che è in grado di fare o avere. Oggi sono disponibili un’infinità di prodotti e di servizi apparentemente indispensabili. Volenti o nolenti, siamo bombardati da una pubblicità insidiosa che vuole farci sentire insoddisfatti di ciò che abbiamo e che ci manda questo messaggio: “Compra questo e sarai felice”. Di fronte a questa realtà la contentezza sembra essere una chimera per coloro che non hanno molto.

 

 

Si vive meglio se non si prova invidia e non ci si paragona ad altri. Questa è una verità universale. Un proverbio greco dice: “Chi non si accontenta con poco non si accontenta con niente”. Anche i giapponesi dicono: “Povero chi non si accontenta”. Chi si affanna ad accumulare sempre di più potrebbe essere tentato di non agire con onestà, lealtà e correttezza. Non potendo avere tutto ciò che vorremmo, dobbiamo imparare ad apprezzare ciò che abbiamo, fa bene alla salute. Il problema di molti è legato all’avidità. Già Seneca nel I secolo osservava: “Per gli avidi è troppo poco la natura”. Anche Erich Fromm, nel secolo scorso, giunse a una conclusione simile: “L’avidità è un pozzo senza fondo, che esaurisce la persona nello sforzo incessante di soddisfare il bisogno senza mai raggiungere la soddisfazione”.

 

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