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Alex Marangon, cinque misteri e cinque interrogati: il fosco giallo dello sciamano

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Una abbazia sconsacrata del 1100 ai piedi del fiume Piave. Un conte proprietario della tenuta. Uno sciamano, sorta di stregone/mago, chiamato da due appassionati di pratiche amazzoniche, e venti persone - alcune delle quali mai si erano conosciute prima - che si ritrovano, accumunate dal desiderio di trovare un nuovo equilibrio interiore. Una potente tisana allucinogena, illegale in Italia, fatta bere ai partecipanti a mo’ di rito. Assurde pratiche amazzoniche, con canti e musiche ripetute ossessivamente. E, soprattutto, il misterioso omicidio di un ragazzo di 25 anni. Potrebbero essere gli ingredienti di un romanzo giallo, uno di quelli vecchia maniera, quando Agatha Christie faceva rabbrividire i suoi lettori.
Invece è tutto reale.

Alex Marangon, quel ragazzo veneto dal sorriso energico e dalla incorniciabile voglia di vivere: è lui la vittima. Lo hanno trovato qui, morto, sul greto del fiume Piave, a pochi chilometri dall’abbazia, due giorni dopo la sua scomparsa. Era il 2 luglio scorso. Sabato 29 giugno Alex aveva per l’appunto partecipato a questa “festa sciamanica”. Quella notte è accaduto qualcosa: Alex lascia il gruppo, poi scompare, l’autopsia avrebbe poi confermato che il giovane non si è suicidato, ferite inferte da un corpo contundente, le costole della parte sinistra del torace fratturate. Vediamo allora di illustrare i pezzi del puzzle.

LA VITTIMA E IL RITROVO
Alex Marangon aveva come detto 25 anni. Viveva con la famiglia a Marcon, in provincia di Venezia, e faceva il barista. Ex atleta, amava viaggiare, sperimentare nuove usanze, conoscere nuove culture. «Un ragazzo semplice - racconta a Libero uno dei suoi più cari amici-, siamo cresciuti assieme, si guadagnava da vivere, giocava a calcio. Era stato mesi in giro per il mondo, con un camper.

 

Non era uno sprovveduto, se gli capitava dormiva anche su un’amaca, ma sapeva quello che faceva. Era un ragazzo aperto a nuove idee, se gli davi la tua visione non rimaneva fermo sui suoi punti ma ti ascoltava, e magari la prendeva in considerazione. Secondo me aveva scoperto qualcosa e l’hanno fatto fuori». Una “festa sciamanica”, così viene definita. In programma venerdì 28 e sabato 29 giugno all’abbazia di Santa Bona, a Vidor, in provincia di Treviso. Pare che Alex ne fosse venuto a conoscenza su Telegram, e però lui già aveva esperienza di ritrovi del genere. L’evento "Sol Del Putumayo. Rituale di cura con la forza della Foresta”: a organizzarlo la Zu Music, ossia Andrea Giorgi Zuin detto “Zu”, che nelle chat su Telegram ogni tanto si firma come “Demone Zu”, e la compagna Tatiana Marchetto, detta “Tati”.

LO SCIAMANO
Loro hanno sposato la causa dello sciamano colombiano presente quella sera, Jhonni Benavides. “Evento speciale, unica tappa di Jhonni in Italia” c’è scritto nel messaggio pubblicato per l’appunto nella chat Telegram degli iscritti: una notte 230 euro, due notti 400. Comprendeva riti basati sulla Musica Medicina, definita un aiuto nella guarigione. “Tramite le frequenze vibrazionali del suono, l’armonia e la giusta poesia, i musici medicina ci invitano a raggiungere la pace interiore e a collegarci al divino”, di questo sono convinti. L’incontro tra Zu e Benavides avvenne circa otto anni fa in Colombia: «Lui è un essere di Luce pura - scriveva Zu nel suo sito- connesso con le piante e con la vita». Pratiche ispirateproprio agli sciamani amazzonici, solo che qui siamo nel profondo Veneto, dove pochi attimi prima di giungere all’abbazia incontriamo gente con il trattore, famiglie contadine che si svegliano con il canto del gallo.

 

L’ANTICA ABBAZIA
L’evento era organizzato in questa abbazia di Santa Bona, a Vidor, nel trevigiano, orientata con il sorgere del Sole del 13 settembre, giorno secondo i trevigiani dedicato alla santa, vergine egiziana, mai canonizzata. Un’abbazia immensa che a vederla fa impressione. Cinta dalle mura, chiusa da vari portoni secolari e attorniata da immensi campi coltivati, è di proprietà del conte Giulio Da Sacco. E per farci capire bisogna immaginarsela così: alla villa si accede in auto, solo che a un certo punto c’è una sbarra. Su una delle cancellate c’è scritto: “Si entra solo su prenotazione”. Attorno ci sono immense distese di verde, ma sul retro della villa, proseguendo a piedi, il Piave è qui a pochi metri. Ci si arriva percorrendo una stradina impervia in mezzo alla vegetazione, che di notte mette paura.

IL RITO ALLUCINOGENO
E si arriva alla notte in cui è accaduto qualcosa. Seduti e sdraiati, a piedi scalzi, in un cerchio protetto, ecco il rito dell’ayahuasca: ai partecipanti alla cerimonia viene fatta bere una sorta di tisana, un decotto molto potente composto da erbe di provenienza amzzonica, con effetti allucinogeni, e infatti in Italia è classificata come sostanza stupefacente. E poi c’è l’altro rito, “il cerchio del Kambo”, anche questa una pratica sudamericana, che prevede la bruciatura di una gamba o un braccio da parte dello sciamano, poi sulle ferite ci si applica il Kambo, che è la secrezione di una rana amazzonica - un trattamento che porterebbe benessere e curerebbe l’anzia, secondo chi ci crede.

L’OMICIDIO
Ecco, da qui in poi è tutto da ricostruire, e i magistrati stanno lavorando per questo. A un certo punto Alex si alza e se ne va, esce dal luogo in cui si svolge il rito. Due persone dicono di averlo seguito e poi però di essere tornate indietro. «Gli amici non ti abbandonano, se non ti trovano», dice lo zio di Alex a Libero. In ogni caso Alex scompare e viene ritrovato dopo due giorni senza vita sul fiume Piave. All’inizio si pensava fosse suicidio, ma l’autopsia ha chiarito che Alex non si è tolto la vita e che la morte è stata provocata da una serie di violentissime percosse e da colpi al capo sferrati con un colpo contundente. Il procuratore capo di Treviso Marco Martan dice che è stato «picchiato duramente» e ora si indaga per omicidio volontario avvenuto tra le 2.30 e le 7 del mattino. Cinque dei venti partecopanti al raduno sono stati interrogati. Non c’è alcun indagato, per ora. «Siamo stremati», ci dice il papà di Alex. E ora i genitori lanciano un appello: «È stato ucciso, forse ha visto qualcosa, qualcuno voleva chiudergli la bocca. Chi sa parli». È lo schema della “camera chiusa”, un gruppo di persone in un luogo, senza sbocchi. Uno muore. Per ora nessun sospettato, perché sono sospettati tutti.

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