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Vicenza, l'impronta, il guanto e il dna: il duplice omicidio risolto 33 anni dopo

Serenella Bettin
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Un giallo risolto dopo 33 anni. Non è vero che i delitti insoluti rimangono sempre tali: a volte la verità viene a galla, dovessero volerci anche decenni. E non solo nei film. È la sera del 25 febbraio 1991. Siamo in Veneto. Esattamente a Vicenza, in contrà Torretti. Pierangelo Fioretto, noto avvocato civilista all’epoca 59enne, sta rientrando a casa. Sono all’incirca le 20.15, quando davanti alla porta d’ingresso trova due uomini. Lì parte una lite, seguita da una colluttazione. Una donna residente nel palazzo racconta d’aver visto un uomo infilarsi dei guanti chirurgici verdi. Un’altra sente delle grida, si affaccia alla finestra, vede due persone litigare, arrivare alle mani, poi, mentre rientra in casa per chiamare i soccorsi, ode ancora quelle grida e quegli spari.

Fioretto viene freddato con quattro colpi di arma da fuoco: pistole giocattolo manomesse, sostituendo la canna originale in lega con altre di fattura artigianale in acciaio, in grado di esplodere proiettili calibro 7,65 e quindi di diventare letali. Viene colpito al torace, alla schiena e all’altezza dell’orecchio. La moglie, Mafalda Begnozzi, allora 52enne, sente le grida, gli spari, scende di corsa in cortile per soccorrere il marito, ma viene colpita anche lei. Entrambi finiti col classico colpo di grazia alla nuca, esplosi quando entrambi erano già a terra. Quando la polizia di Vicenza arriva trova marito e moglie riversi a terra in una pozza di sangue, stesi in direzione opposta, i loro corpi trafitti da una scarica di pallottole. Una vera e propria esecuzione.

 

 

 

Ieri il presunta omicida è stato arrestato. Si tratta di Umberto Pietrolungo, 58 anni, considerato affiliato alla cosca di ‘ndrangheta Muto, operante a Cetraro, in provincia di Cosenza. Evidentemente all’epoca era un killer alle prime armi. Erano i Novanta, gli anni in cui la mafia sfidava lo Stato e lo Stato resisteva e anche reagiva. Ma qui in Veneto una simile esecuzione non si era mai vista. La comunità vicentina venne scossa profondamente dalla vicenda.

Erano gli anni Novanta, per l’appunto, e ancora non esistevano le tecniche investigative che abbiamo oggi. Dalle due armi vennero prelevate le impronte digitali, ma solo sul silenziatore della pistola repertata come B vennero trovati tre frammenti di impronta del pollice. Inviati alla direzione centrale Polizia anticrimine di Roma, in una relazione del 23 aprile 1991, si legge che le impronte - per le tecniche dell’epocanon erano utili al confronto «a causa della loro esiguità». Così il tribunale di Vicenza il 3 dicembre 1996 archiviò il tutto.

 

 

 

E arriviamo al 2012 quando la polizia scientifica di Padova fa riaprire l’inchiesta e quella di Roma rinviene su un guanto in pelle profili genetici riconducibili a un soggetto maschile. Questo grazie anche al lavoro della squadra creata dal ministero dell’Interno proprio per indagare sui delitti irrisolti. Le indagini proseguono. Nel 2023 la polizia scientifica, con una nota, segnala che quel profilo rinvenuto sul guanto in pelle trovato a Vicenza ha una «concordanza positiva di primo livello» con un altro profilo acquisito l’8 gennaio 2022 sul luogo di una sparatoria a Cirella di Diamante, in Calabria, all’interno di un hotel. «É stata fatta una comparazione - spiegano fonti a Libero - tra il profilo del 2012 e quello del 2022, e la coincidenza dei profili viene affermata sulla base della migliore scienza ed esperienza genetica». Ieri a Umberto Pietrolungo, che attualmente è detenuto nel carcere di Cosenza per estorione aggravata dal metodo mafioso, è stato notificata la misura della custodia cautelare per quel duplice omicidio, rimasto per 33 anni irrisolto. Oggi l’interrogatorio.

 

 

 

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