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Raffaele Sollecito rivela: "Perché in carcere ero diventato amico dei pedofili"

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Una lunga intervista, toccante, a tratti anche un poco inquietante, che fa riflettere, quella rilasciata da Raffaele Sollecito a 7, il settimanale del Corriere della Sera, a 18 anni dall'omicidio di Meredith Kercher, il delitto di Perugia che vide Sollecito coinvolto con Amanda Knox.

Sollecito parla di quando è uscito dal carcere: "Ho dovuto ricostruire da zero lavoro e immagine, non volevo che quelle cause fossero la mia vita. Io non sono quello". Quando gli chiedono se non bastava l'assoluzione, Sollecito risponde con un aneddoto doloroso: "Le faccio un esempio: tempo fa ero a corso Como con degli amici, vedo una ragazza carina, le dico ciao. Lei mi riconosce, e scoppia a piangere". Dunque? "I suoi amici mi circondano, io spiego di aver detto semplicemente ciao. Quando ci chiariamo, qualcuno mi dice che devo capire, non tutti pensano che io sia innocente, e possono avere paura".

Nel lungo colloquio torna poi alla sua infanzia. Come erano i rapporti con papà? "Da bambino mi portava con lui nelle visite a domicilio. Io aspettavo in macchina, o nei tinelli delle case. Se le visite non erano troppo invasive, mi faceva entrare dai pazienti. Io ascoltavo, m’interessava la diagnosi, ero affascinato dalla scienza". E di sua madre? "Mi attaccavo ai suoi capelli, se mi chiede quale fosse il mio desiderio: stare dentro i capelli di mia madre", afferma Sollecito, in modo spiazzante. Simbolicamente?, gli chiedono. "Tra noi c'era una specie di comunicazione attraverso i capelli. Lei mi pettinava, mi ha pettinato fino a tredici anni". Dunque, Raffaele Sollecito rivela quali sono stati i suoi primi giocattoli: "Le Barbie di mia sorella. Le vestivo, le lavavo. Nelle mie storie era sempre Ken a morire. Non aveva skill, soccombeva colpito da qualsiasi supereroe".

Si parla ovviamente anche di Amanda Knox "Le scrivo qualche lettera, ma mi accorgo che le sue risposte non sono libere". E che cosa le scriveva? "Le chiedevo se lei provasse ancora qualcosa per me". La risposta? "No", rivela laconico Sollecito. E perché glielo chiedeva? "L'idea che ci fosse qualcuno che mi amasse... ne avevo bisogno", aggiunge. Smettere di pensarla? "Impossibile, la televisione parlava di lei, di noi. Col tempo, piano piano, ho cercato di farmi bastare la famiglia e alcuni detenuti".

 

 

Qui, un'altra rivelazione che può stupire. Quando gli chiedono con quali detenuti condividesse il tempo, ecco che Sollecito spiega: "In carcere ci sono i clan, farne parte significa essere costretti a difendere il capo, esporsi a rischi, e io non volevo guai, così ho fatto amicizia coi veri esclusi, quelli che nessuno considera e che non entrano in conflitto con nessuno", ovvero con "i pedofili". E con loro, riprende, "ho giocato a biliardo, ascoltato le loro storie. Ho passato molto tempo con uno psichiatra accusato ingiustamente dalla moglie di aver molestato la figlia piccola", conclude Sollecito la sua lunga intervista.

 

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