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Natisone, ragazzi travolti dalla piena: polemica sui tempi dei soccorsi

Serenella Bettin
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Sarebbe bastato veramente un minuto in più? Il giorno dopo il ritrovamento dei corpi delle due ragazze, Bianca e Patrizia, travolte venerdì scorso dalla piena del fiume Natisone, in provincia di Udine - mentre ancora si cerca, senza sosta, il povero Cristian -, le polemiche non si placano, e anzi aumentano. Chi dice che i soccorsi siano arrivati tardi, chi sostiene che l’elicottero si sia alzato in volo da una località troppo distante rispetto a Udine - Venezia, per l’appunto. Qualcuno sui social arriva addirittura ad addossare la colpa a chi, accorso, avrebbe lanciato le funi, dunque i vigili del fuoco. Resta il fatto che il ministro Nello Musumeci, con delega alla Protezione civile, ha chiesto una relazione dettagliata agli uffici competenti - in questo caso la prefettura proprio sulle tempistiche dei soccorsi e sulle primissime attività scattate dopo l’allarme lanciato dai tre ragazzi. E la procura di Udine ha aperto un’inchiesta, per ora contro ignoti, nell’ambito della quale acquisirà i tabulati relativi alle richieste d’aiuto, anche per verificare i tempi d’intervento. Le domande sono tante.

Ci si chiede per esempio se anziché attivare Drago, l’elicottero dei vigili del fuoco di stanza a Venezia, non sarebbe stato più opportuno far alzare in volo quello sanitario della Sores Friuli Venezia Giulia, da Campoformido, a pochi minuti di volo da Premariacco, il Comune in cui è avvenuta la tragedia. In questo senso, gli stessi vertici dei vigili del fuoco assicurano che i «protocolli d’intervento sono stati rispettati». Ma torniamo indietro.

 

 

 

Quel giorno i tre amici Bianca Doros, Patrizia Cormos e Cristian Casian Molnar - vengono ripresi dalle telecamere mentre passano in auto alle 13.05 a Buttrio, Comune in provincia di Udine, a otto minuti da Premariacco, luogo dell’incidente. Arrivano nella spiaggetta e da lì imboccano una stradina che li porta al fiume. Il cielo è sereno, dopo le piogge è rispuntato il sole. Raggiungono quell’isolotto a piedi, volevano solo festeggiare Patrizia, che la mattina stessa aveva sostenuto un esame.

Non conoscevano il posto, ed erano ignari delle sue insidie, tanto che non hanno sentito nemmeno il rumore della piena che arrivava. Perché, come ci dice una signora che abita qui, «quando arriva si sente il rumore che avanza». In più in quel punto c’è il divieto di balneazione, proprio per il pericolo d’annegamento, e i cartelli sono affissi in tutta l’area. Comunque, all’improvviso il cielo si annuvola rapidamente, il livello del fiume comincia a salire. Sono le 13.20 quando un autista di uno scuolabus li nota. Alle 13.35, quando ripassa, vedendoli in pericolo, chiama i soccorsi. Anche Patrizia aveva già chiamato, cinque minuti prima, con il suo telefonino. Nel frattempo l’acqua sale, senza concedere tregua.

Cristian prova a tuffarsi per raggiungere la sponda, ma non riesce e torna indietro. Una delle due ragazze non sa nemmeno nuotare, impossibile lasciarla lì. Meglio restare uniti. In quegli istanti terribili, i tre amici sono in piedi su quell’isolotto. Sono gli stessi vigili del fuoco - i primi ad arrivare sono quelli di Udine- a dire ai giovani di stringersi per farsi forza, così da resistere all’acqua. Nel giro di pochi minuti l’isolotto viene sommerso. Quel giorno in Friuli Venezia Giulia, vigeva l’allerta gialla: la portata del fiume passa da 15 metri cubi al secondo a quasi 250 in pochissimo tempo. E proprio in quel punto il corso d'acqua attraversa gole profonde, dove la velocità della corrente prende quota improvvisamente. I pompieri lanciano dei barchini, delle funi. I momenti sono drammatici.

 

 

 

Strazianti, anche per chi vede quelle vite svanire e non sa come fare. «Prendi la corda! - grida un soccorritore - prendi la corda!». Ma niente, i giovani non ci riescono. Un pompiere a un certo punto si tuffa, rischiando la vita, ma la corrente è fortissima. Un minuto e mezzo dopo, arriva l’elicottero dei vigili del fuoco. I ragazzi scivolano via, travolti dalla piena.

 

 

 

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