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Autovelox-rapina cancellati dal decreto: distanze minime e permessi, cosa cambia

Claudia Osmetti
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Il concetto è chiaro e il ministro dei Trasporti Matteo Salvini (Lega) lo esprime, in verità già da tempo, senza mezzi termini: gli autovelox sì, ma «soltanto dove effettivamente servono» e comunque mai più «come un mezzo per aumentare le entrate comunali attraverso le multe». Ora ci siamo. Ora è d’avvero questione di ore. L’aveva promesso, Salvini, l’aveva annunciato, ci aveva creduto: oggi il decreto (che si può leggere come una vera e propria stretta sugli) autovelox viene pubblicato in Gazzetta ufficiale e domani, mercoledì 29 maggio, entra in vigore. Basta, non si tergiversa oltre, non ci sono più scuse. Epperò, in pratica, che cambia?

Anzitutto cambia l’impostazione: i rilevatori di velocità, adesso, potranno essere posizionati con un limite non inferiore a 20 chilometri orari rispetto a quello disposto dal Codice della strada. E' più complicato da spiegare a parole che coi numeri: significa, semplicemente, che sulle strade extraurbane a 110 chilometri all’ora, tra non poco, sarà ancora possibile incappare in un autovelox, ovviamente, ma questo potrà far scattare multe solamente se sarà tarato con un limite di almeno 90 chilometri (sempre all’ora). Non ci potranno essere restrizioni più stringenti.

 

 

 

LIMITI

Una questione di velocità che (dice Salvini) viene «parametrata a quella prevista dal Codice per ogni tipologia di strada, ossia 50 chilometri orari nei centri urbani»: e allora a “farne le spese” saranno i limiti più bassi, quelli a 30 chilometri all’ora: un Comune che volesse imporli, magari davanti alle scuole o ai suoi ospedali, a questo punto, sarà costretto a inviare fisicamente una pattuglia di vigili sul posto per ottenere lo stesso risultato. I rilevatori elettronici della velocità sono oggetto della stretta voluta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti guidato da Matteo Salvini. Il decreto che stabilisce le nuove regole sarà pubblicato oggi.

Il provvedimento mette al primo posto la tutela della sicurezza della circolazione, ponendo regole certe sul posizionamento dei dispositivi e sulle sanzioni. Tra le novità principali, c’è l’introduzione di una distanza minima tra un autovelox e l’altro. Inoltre, i dispositivi dovranno essere segnalati almeno un chilometro prima.

 

 

 

I misuratori elettronici della velocità potranno essere installati solo se sussiste una reale problematica relativa agli incidenti (cioè se in quel tratto di via ne succedono spesso e parecchi), se questa “alta incidentalità” viene documentata (nel numero, nella tipologia e nelle cause) e se in quella specifica area sussiste l’impossibilità degli agenti a operare nel medesimo senso (paletta e fischietto, per-favore-accosti): in più le postazioni con i dispositivi mobili dovranno ottenere l’autorizzazione del prefetto del capoluogo di provincia nel quale si vorrà, successivamente, posizionarli e sarà un provvedimento prefettizio a individuare i tratti di strada su cui potranno essere utilizzati gli autovelox. i$ un passaggio, quello in prefettura, che è anche una novità tra le più rilevanti: da una parte perché tocca i dispositivi presidiati dalla polizia e appoggiati sui treppiedi a bordo asfalto, dall’altra perché è soprattutto un netto taglio sull’autonomia dei Comuni. Una limitazione alle limitazioni, insomma, e a tutto tondo. Che non risparmia nessuno. Autovelox-addio forse non proprio, ma autovelox-ci-vedremo-molto-meno è sicuro.

 

 

 

I rilevatori del futuro (prossimo, praticamente immediato) saranno ben visibili, ben distanziati, e (se mobili) la contestazione dovrà essere immediata. La loro presenza andrà segnalata in maniera congrua, almeno un chilometro prima della loro effettiva presenza (fuori dai centri abitati) oppure almeno 200 metri (sulle strade urbane di scorrimento) o almeno 75 metri prima (su tutte le altre).

Per la prima volta viene fissata la distanza minima che dovrà intercorrere tra un dispositivo e il successivo, per le strade extraurbane sarà di tre chilometri, per quelle secondarie di uno. Parola d’ordine: mai più proliferazione anche perché di apparecchi installati e funzionanti, in Italia, ce ne sono qualcosa come 11.303 (è l’ultima stima del sito Scdb.info). Un numero che rappresenta il 17% di tutti quelli presenti nei 27 Paesi europei e il 10% (addirittura) del totale mondiale.

 

PERIODO TRANSITORIO

Però attenzione: formalmente, d’accordo, l’entrata in vigore del decreto voluto da Salvini scatta subito, e per fortuna verrebbe da aggiungere visto che se ne parla dal luglio del 2010 e sono quasi quattordici anni che non s’è vista mezza disposizione. Ma un periodo transitorio pure c’è ed è di dodici mesi (un anno): servirà ai sindaci e alle amministrazioni comunali per adeguare i dispositivi già istallati e mettersi in pari con la nuova normativa.

Ciò che resta ancora da sbrogliare, semmai, è il capitolo dell’omologazione, che non viene direttamente trattato dal decreto ma che è stato oggetto di una recente sentenza dalla Cassazione che ha distinto in maniera formale tra approvazione (del dispositivo) e (appunto) omologazione: senza la seconda, casistica assai diffusa, il verbale sembrerebbe non essere valido.

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