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Tolleranza non significa giustificare qualunque cosa

Steno Sari
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Recita un proverbio cinese: “Gli uomini tolleranti non sono mai stupidi, e gli uomini stupidi non sono mai tolleranti”. In questo proverbio c’è molta saggezza, anche alla luce del significato etimologico di tolleranza che deriva da una parola latina che significa “sopportare”, ed è la qualità di chi mostra rispetto per le opinioni diverse dalle sue. Tutti, nei campi più svariati, abbiamo le nostre opinioni e ci sentiamo a nostro agio con chi ci rispetta anche se la pensa diversamente. Altra cosa è l’intolleranza, che porta a disapprovare, per ristrettezza mentale, la condotta o il modo di fare di qualcun altro. È l’atteggiamento di chi è convinto di possedere sempre verità assolute e diviene intransigente con chi è diverso da lui.

Chi ha una mentalità ristretta è irragionevole, egoista, ostinato e dogmatico. Tutto ciò toglie sapore alla vita e chiude la mente a nuove idee. 

Siamo onesti: tutti tendiamo per natura a manifestare ristrettezza mentale perché tutti siamo imperfetti. Non è forse vero che scuotiamo la testa davanti ai gusti altrui? Vogliamo avere sempre l’ultima parola nelle conversazioni? Quando lavoriamo in gruppo, ci aspettiamo che gli altri la pensino come noi e tendiamo a imporre le nostre idee?

Attenzione, perché quando l’intolleranza trova un terreno fertile può trasformarsi in pregiudizio verso un gruppo etnico, religioso, politico. Il pregiudizio genera facilmente il fanatismo, che può sfociare in odio violento, creando un clima di “caccia alle streghe”. Ben venga quindi la tolleranza, vera garanzia a tutela del pluralismo ideologico e del diritto di pensarla diversamente.

È anche vero, però, che in certe circostanze l’intolleranza non è fuori luogo. Per esempio, assassinio, furto, stupro, sequestro di persona e abuso sui minori dovrebbero essere considerate cose intollerabili, e con ragione. Per questo all’interno di una comunità si cerca di far rispettare la legge, di mantenere l’ordine e si stabiliscono limiti ragionevoli per il comportamento. Triste a dirsi, questo viene mal “tollerato” da chi ha abbandonato l’idea che esista una verità etica, con norme che regolano il nostro comportamento rispetto al bene e al male. Nella nostra società sono sempre più numerosi quelli che ritengono che nessuno abbia il diritto di giudicare se un comportamento sia opportuno o meno, o quali siano i doveri morali verso se stessi e verso gli altri.

È ovvio che se non crediamo in nulla, se non abbiamo forti convinzioni, “tutto va bene”. È la cosiddetta facile tolleranza degli scettici, atteggiamento di completa indifferenza e menefreghismo. Ma se a nessuno importa quello che gli altri pensano o fanno, allora non esiste metro di giudizio. Così si giustifica tutto, come se tutto fosse lecito. Anziché imparare a pensare per chiedersi cosa è giusto e cosa non lo è, si finisce così ad avere la testa vuota e a non pensare affatto. È il destino, per usare le parole di Dante, degli “ignavi”: “Coloro che visser sanza ’nfamia e sanza lodo”, codardi che non hanno la forza morale necessaria a opporsi con coraggio all’intolleranza altrui.

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