Napoli, la fabbrica di euro falsi da record: quanti milioni contraffatti hanno scoperto
Altro che Totò e Peppino, altro che “Banda degli onesti” (ricordate? la leggendaria pellicola del 1956). Alessandro (Aprea) e Ciro (Di Mauro), i due falsari che gestivano la stamperia clandestina nel quartiere Ponticelli, zona orientale di Napoli, non erano improvvisati dilettanti del crimine né furbacchioni indecisi e frenati dai sensi di colpa, ma professionisti del settore - appartenenti al “Napoli group”, cartello tra i più efficienti al mondo noto per l’alta qualità delle banconote prodotte, il cui prezzo di smercio è altissimo: 20 euro veri per ogni pezzo da 50 falso- che puntavano molto in alto: nel capannone in cui lavoravano sono stati sequestrati 80 mila fogli, su ciascuno dei quali erano stampate 12 banconote contraffatte (che dovevano essere solo tagliate per apporre la banda verticale argentata) da 50 euro della serie “Europa”, per un valore nominale complessivo di circa 48 milioni di euro. Una cifra stratosferica e per capirlo basta pensare che nel 2023, secondo i dati della Banca d’Italia, sono state ritirate dalla circolazione, in tutto, 467.000 banconote false per un valore di circa 4.5 milioni (soprattutto tagli da 20 e 50 euro).
CAPANNONE MODIFICATO
Nel blitz delle fiamme gialle, coordinato dalla Procura di Napoli Nord, oltre ad Alessandro e Ciro (i due nuovi “Totò e Peppino”) sono state sottoposte a fermo altre cinque persone per associazione a delinquere finalizzata alla contraffazione di monete aventi corso legale e di spendita delle stesse. La banda aveva allestito una tipografia clandestina in un capannone industriale preso in affitto da una società di bonifica ambientale (estranea alle indagini) e all’interno era tutto gestito nei minimi particolari: era stato allestito un laboratorio con macchine da stampa industriali particolarmente sofisticate e altamente performanti - anche se dalle immagini sembrano vecchie rotative arrugginite - ed era stato cambiato il contatore elettrico per velocizzare la produzione delle banconote contraffatte, entrata a pieno regime da aprile. E proprio per non perdere tempo prezioso, da un mese e mezzo, i due “Totò e Peppino” hanno vissuto in isolamento all’interno dell’immobile senza mai interrompere il lavoro, aiutati da un complice che provvedeva a portare cibo, acqua e qualsiasi cosa servisse per vivere. Quest’ultimo, poi, comunicava direttamente con il capo e mente dell’associazione, il 70enne Alfredo Muoio, tipografo di professione e titolare della “Muoiocartedagioco”, un vero esperto del settore- soprattutto per i difficili tagli da 100 e 50 euro-che si è sempre dedicato, fin dai tempi delle lire, alla contraffazione monetaria allestendo stamperie clandestine, ma che dal 2006 (è stato arrestato in flagranza di reato) non lavora più in prima persona ma delega la produzione a suoi "fedelissimi", rimanendo sempre fisicamente distante dal laboratorio di turno. La sua supervisione però è fondamentale: ecco perché, su alcuni degli 80mila fogli di banconote, ci sono giudizi, correzioni e suggerimenti scritti a biro, tipo «benino (aumentare rosso) (giallo caldo)» o «Non tirare 2 volte ma 1 sola (gialla)».
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SCOPERTI DALL’ALTO
Il capannone fatto allestire da Muoio era stato trasformato in una specie di bunker, che i falsari monitoravano costantemente con l’ausilio di telecamere esterne: all’interno i muri erano stati modificati per consentire il posizionamento dei macchinari necessari per la stampa, nascosti dietro letti e mobili. Oltre alle banconote false sono stati sequestrati strumenti industriali, un tavolo luminoso, taglierine, pc, vernici, solventi, nonché rotoli argentati utilizzati per realizzare la striscia olografica presente su ogni banconota. Fondamentali per l’intervento delle forze dell’ordine sono state le prolungate attività di osservazione e pedinamento, con l’utilizzo di sistemi di tracciamento Gps e con il supporto dei mezzi aerei. Anche perché Alessandro (Aprea) e Ciro (Di Mauro) non si sarebbero certo fermati nella produzione e nello smercio. Altro che Totò e Peppino, altro che “Banda degli onesti”.
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